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10/07 2025
Salute Chirurgia

Carcinosi peritoneale, l’auspicato lieto fine e la guarigione di Antonella

— Rosy Matrangolo, con la supervisione scientifica di Luigi Boni, direttore della Chirurgia Generale e Mini-Invasiva

Se Antonella oggi è tornata a sorridere e a guardare il futuro con speranza è soprattutto grazie alla riuscita di un intervento che ha dell’eccezionale.

Giunta in Policlinico di Milano su segnalazione degli specialisti da cui era in cura per una carcinosi peritoneale e tumore primitivo del colon, il quadro di Antonella è apparso sin da subito già molto compromesso e il tumore si presentava in uno stadio avanzato di progressione. Antonella è un’infermiera in una Asst della provincia di Milano e conosce molto bene la vita di reparto, ma per quanto possa essere una professionista preparata, il ruolo di paziente è quello più difficile da accettare.

Di carcinosi peritoneale non si sente parlare spesso: è una diffusione della malattia al peritoneo, la membrana che riveste internamente tutta la cavità addominale. La diagnosi è solitamente fatta con un intervento chirurgico in laparoscopia dove si esplora la cavità addominale mentre la biopsia rileva la natura dei noduli di carcinosi. Antonella mostrava già noduli peritoneali e omentali in questa sede.

Per il cancro al colon contratto primariamente, precedenti trattamenti non hanno portato ai risultati sperati e, fatto non comune, la proliferazione di cellule tumorali nella regione del peritoneo si è generata in modo isolato dalla patologia al colon. Si tratta, dunque, di una condizione non inizialmente prevedibile, ma sorta contestualmente.

L'unica chance terapeutica plausibile in questo caso è rappresentata dall'esecuzione di un intervento chirurgico radicale associato all’esecuzione di un trattamento denominato HIPEC, cioè una chemioterapia-ipertermica intra peritoneale intra operatoria – commenta Luigi Boni, direttore della Chirurgia Generale e Mini-Invasiva del Policlinico di Milano e docente all'Università degli Studi di Milano -. Non è la prima volta che eseguiamo questa procedura, ma questo intervento è stato particolarmente delicato e complesso”.

L’HIPEC è una chemioterapia “particolare”: il preparato farmacologico è iniettato direttamente nel peritoneo ad alta temperatura contestualmente all’intervento chirurgico. Per prendere questa decisione, è stata necessaria una valutazione in sede multidisciplinare con la presenza di Michele Ghidini e Barbara Galassi dell’Oncologia Medica. Gli oncologi hanno prescritto il chemioterapico mitomicina che è stato infuso nella cavità peritoneale in corso di intervento chirurgico con successo.

In sala operatoria per circa 13 ore, Antonella ha subito l’asportazione completa del peritoneo, del colon-retto, dell’utero e delle ovaie, della milza, dell’omento, di tutti i linfonodi dell'asse iliaco aortico e cavale e della colecisti. Insieme al prof Luigi Boni, anche il chirurgo Stefano Costa e un’équipe di personale sanitario affiatata coordinata da Angela Perazzoli. Un lavoro di squadra in cui ruolo imprescindibile è dell’Oncologia Medica dell’Ospedale, grazie alla quale è stato possibile ottenere la preparazione del farmaco chemioterapico. Anche la Farmacia Ospedaliera è stata determinante per mettere a disposizione l'apparecchiatura in grado di eseguire l'HIPEC.

È stato uno sforzo congiunto della mia équipe – commenta il prof Luigi Boni - e in particolare dello specialista Stefano Costa che mi ha aiutato durante intervento, degli anestesisti che si sono alternati in sala operatoria e dal personale sanitario, tutti hanno gestito egregiamente una situazione molto complessa. Le competenze in ambito oncologico e anestesiologico sono state fondamentali per poter ottenere un tale risultato”.

Antonella è stata valutata dopo l’operazione, la TAC torace-addome non ha mostrato malattia residua. Non si può dire che sia tutto finito, oggi l’infermiera ha ripreso il trattamento chemioterapico con capecitabina, un chemioterapico orale, con lo scopo di ridurre il rischio di recidiva di malattia.

C’è di certo, però, che Antonella può guardare con fiducia al suo domani. Lei che sa cosa significhi lavorare al fianco di chi è malato, ha oggi una consapevolezza in più per stare dalla parte di chi è nel bisogno e confida nelle potenzialità della sanità pubblica.

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