
A, B, C, D... E: tutte le lettere dell’epatite
— di Valentina Castellano Chiodo con la consulenza scientifica di Roberta D'Ambrosio, epatologa
Per conoscere l’epatite bisogna imparare il suo alfabeto e sapere come si differenzia quella di tipologia A o B, da C o D e persino E. Come ci si ammala e si può guarire? È vero che si trasmette anche tramite infezioni alimentari e che può cominciare con sintomi apparentemente comuni come nausea e vomito o dolori articolari? Quali esami bisogna eseguire per verificare la “salute” del nostro fegato? Queste e tante altre domande che generano confusione sull’epatite e le sue diverse forme, definite con varie lettere, le abbiamo chieste a Roberta D'Ambrosio, medico gastroenterologo, esperta in patologia del fegato.
Cos’è l’epatite?
Per “epatite” si intende una qualsiasi forma di infiammazione del fegato, la cui diagnosi deriva generalmente dal riscontro di alterati valori di transaminasi, AST e ALT, due enzimi che forniscono informazioni utili all’individuazione delle patologie del fegato. La classificazione delle epatiti è complessa, ma se ne riconoscono due principali categorie: quelle virali e quelle non virali.
Il termine “epatite” deriva dalla parola greca "hepar", che significa “fegato” mentre il suffisso -ite, indica sempre la caratteristica dell’infiammazione.
Quali sono le differenze fra le forme virali?
Le forme virali di epatite causate da virus sono caratterizzate da modalità di trasmissione piuttosto specifiche: i virus colpiscono selettivamente il fegato, causando un’epatite virale e comprendono i virus di:
- epatite A (HAV),
- epatite B (HBV),
- epatite C (HCV),
- epatite Delta (HDV),
- epatite E (HEV).
L’alterazione degli esami epatici (cioè del fegato) può essere comunemente riscontrata tutte le volte che il paziente ha in atto un’infezione. Nelle fasi acute di infezione è possibile riscontrare sintomi come la stanchezza, la nausea e talvolta i dolori articolari, che non sono sempre presenti e non permettono di porre diagnosi, ma possono spingere a fare accertamenti clinici.
In cosa si differenziano le forme di epatite virale?
Tutte le forme di epatite virale sono caratterizzate dal fatto che il virus, penetrato nell’organismo attraverso la propria via specifica, arriva al fegato tramite la circolazione sanguigna e ne attacca le cellule, danneggiandole. Le forme che guariscono spontaneamente entro i primi 6 mesi dall’infezione sono definite epatiti acute, se invece l’infezione persiste per oltre 6 mesi si parla di epatiti croniche. La gravità dell’epatite (sia in fase acuta che in fase cronica) è variabile ed è espressa dai valori di transaminasi (oltre che da altri parametri più specifici). Le epatiti virali si differenziano anche per la modalità di trasmissione: alcune si trasmettono per via oro-fecale (definite HAV e HEV) sono diffuse soprattutto nei paesi caratterizzati da scarse condizioni igienico-sanitarie e si acquisiscono mediante consumo di acqua o cibi contaminati, altre per via parenterale, ossia tramite contatto con sangue infetto (definite come HBV ± HDV, HCV), che possono facilmente cronicizzare e quindi richiedono un regolare monitoraggio anche dopo la fase acuta.
Quali sono le forme di epatite pericolose che cronicizzano?
Il virus dell’epatite B (HBV) negli anni si è trasmesso attraverso l’utilizzo di presidi medico-chirugici non sterili (come le siringhe di vetro), tramite le trasfusioni di sangue e alcune pratiche considerate a rischio, tra cui la tossicodipendenza per via endovenosa e i rapporti sessuali a rischio. Il virus può passare la placenta, ed esiste pertanto anche un rischio di trasmissione verticale (materno-fetale). Ad oggi, tutti i nati dal 1980 in poi sono protetti dalla vaccinazione anti-HBV, mentre i soggetti più anziani dovrebbero fare i test almeno una volta nella vita. I pazienti con infezione HBV sono suscettibili all’infezione da virus dell’epatite Delta (HDV), che rappresenta la forma di epatite virale più aggressiva, e le cui modalità di trasmissione sono sovrapponibili a quelli di HBV. Il virus dell’epatite C (HCV) si trasmette (come HBV e HDV) attraverso il sangue e i suoi derivati, mentre la trasmissione per via sessuale è considerata meno efficace. Per questo virus non esiste un vaccino.
Esiste una terapia contro le epatiti?
Mentre le epatiti virali da HAV e HEV non necessitano di terapia farmacologica e tendono a guarire spontaneamente, le infezioni da HBV ± HDV e da HCV cronicizzano in una percentuale di pazienti che arriva al 70-80%%. Per tutte queste forme di epatite esiste un trattamento antivirale specifico, che serve a bloccare la replicazione virale (HBV e HDV) o addirittura a eliminare il virus (HCV) dal sangue e dal fegato, permettendo l’arresto della progressione del danno epatico e la prevenzione della cirrosi.
Quali sono le forme di epatite non virale?
Tra le epatiti di tipo non virale rientrano molte forme di danno epatico, che per lo più tendono a cronicizzare come le epatiti da alcool, le epatiti metaboliche (in presenza di steatosi, ossia di fegato grasso), le epatiti autoimmuni (causate da un’autoaggressione del sistema immunitario) e quelle cosiddette “da deposito”, caratterizzate da una predisposizione genetica che determina l’accumulo di alcune sostanze nel fegato (come il rame, il ferro, etc…). Ad esse si affiancano le rare epatiti da farmaco (o tossiche), la cui presentazione è variabile da individuo a individuo.
Dall’epatite acuta ai rischi dell’epatite cronica
- Tutte le forme di epatite acuta generalmente guariscono da sole; raramente l’epatite A e l’epatite E possono avere un decorso grave e necessitare di trapianto di fegato. Per l’epatite B acuta si prescrive, invece, una terapia antivirale specifica.
- Le forme di epatite cronica, invece, determinano il deposito nel fegato di cicatrice (“fibrosi”), che può aumentare nel tempo fino a sostituire la parte funzionante del fegato.
- Gli stadi più avanzati di fibrosi prendono il nome di cirrosi, che rappresenta il principale fattore di rischio per lo sviluppo di tumore del fegato (definito carcinoma epatocellulare) e di insufficienza epatica. Quando l’epatite non è più trattabile si ricorre al trapianto di fegato.
- Le terapie contro HBV (e HDV) e contro HCV servono ad arrestare la progressione del danno epatico, a prevenire la cirrosi e a ridurre il rischio delle sue complicanze. La diagnosi di infezione è necessaria per poter agire sulla storia naturale di queste malattie, ed è utile quanto più precocemente viene fatta.