L'ombra delle fanciulle in fiore
— di Lino Grossano
La guerra, anche quando inonda quotidianamente la TV e i giornali, sembra sempre tanto distante, se in qualche modo non la stai combattendo anche tu. Poi un giorno ti arriva accanto, e la incontri nel corridoio di una sala parto. La guerra tra Russia e Ucraina per me ha gli occhi castani di una neo mamma di 22 anni, scappata dalla sua città con solo una piccola valigia e una pancia già enorme.
Daniyela indossa una maglietta a maniche lunghe con sottili righe blu, dei jeans comodi, e se non sapessi che ha partorito appena qualche giorno prima non me ne accorgerei nemmeno. Non parla una parola di italiano, ne capisce qualcuna; per comunicare con lei devo farmi aiutare da un'ostetrica che conosce il russo. Alle mie domande risponde spesso "da... da", con solo lievi cenni del capo. Non capisco se è il suo carattere, o se è perché si sente troppo lontana da casa.
E' qui alla Clinica Mangiagalli per un controllo ginecologico. Il Policlinico di Milano, di cui la Clinica fa parte, è uno degli ospedali di riferimento per l'assistenza dei profughi ucraini, in particolare per il percorso parto. Per questo suo figlio Damiyr è nato qui, e non a Chernivtsi dove è rimasto il resto della sua famiglia. Chernivtsi si trova a sud-ovest dell'Ucraina, a 50 kilometri dalla Romania. Le foto la mostrano come una città bella e accogliente, e non mi stupisce che la descrivano come una "piccola Vienna" o "la Gerusalemme sul Prut", il fiume che la sfiora prima di gettarsi nel Danubio.
Era il 25 febbraio, il giorno dopo l'invasione. Le truppe russe erano già arrivate in città, e molti ucraini si erano rifugiati in certi bunker ricavati nelle grotte. Daniyela, già all'ottavo mese, pensava solo che non voleva partorire in un bunker. Che poi non sono quei sotterranei di metallo super attrezzati che si vedono nei film: sono invece camere fredde e buie nascoste nel cuore di qualche montagna, prima usate per conservare le derrate alimentari e ora protette all'ingresso da qualche sacco di terra.
E' con sua madre che affronta il viaggio verso l'Italia: partono appena in tempo, e riescono a mettersi in salvo prima che la situazione precipiti per davvero. Mentre io e Daniyela parliamo, la sua città da 260 mila abitanti ha già 60 mila persone sfollate.
Mentre l'ostetrica mi aiuta con la traduzione, colgo nella conversazione qualche strana parola. "Gravìda", con l'accento sulla i, "difficìl", "suppòrt"... parlano sicuramente russo, ma è come se ogni tanto scappi qualche parola in romeno, che al mio orecchio inesperto sembra persino spagnolo. Con poche frasi ridotte all'essenziale, Daniyela mi racconta di aver studiato marketing e di aver iniziato a lavorare come estetista prima di essere costretta alla fuga. Sua madre l'ha affidata al Policlinico ma poi è tornata in Ucraina per aiutare il resto della famiglia: non ha nemmeno fatto in tempo a conoscere il nipotino nuovo di zecca. Il parto, racconta, è andato molto bene. Era da sola, a parte l'ostetrica. Accenna la situazione degli ospedali ucraini, molto vecchi e inadeguati. Enrico Iurlaro, responsabile dell'Area Parto della Mangiagalli, è accanto a noi: ha visitato per lavoro qualche ospedale a Kiev (o Kyiv, perché in realtà si scrive così), e con lo sguardo mi fa capire che non sono solo vecchi. Non aggiunge altro, credo per delicatezza.
Vorrei chiederle come si trova in Italia, ma che razza di domanda è da fare a una neo mamma appena scampata alla guerra? Allora vado sul sicuro, e le chiedo come si sente ad essere appena diventata madre. Ecco, qui il suo essere taciturna e di poche parole si disgrega per un attimo, la sua voce si ravviva: si sente felice, ovvio. Glielo si legge in volto, anche se il sorriso è nascosto dietro la mascherina chirurgica. Quindi vuol dire che di notte la fa persino dormire!, le chiedo, per strapparle una risata facile. Funziona. Ma poi torna improvvisamente silenziosa, e tra le righe mi fa capire che quel piccolino è la prima esperienza bella incastonata in un periodo orrendo.
E ora, che farete tu e Damiyr? Rimarrete in Italia? Per un po' sicuramente sì, e almeno questa volta non c'è bisogno della nostra interprete. A casa la situazione è troppo precaria, in futuro si vedrà. Ci lasciamo poco dopo, lei deve ancora fare la sua visita post parto. Le faccio un grande in bocca al lupo, soprattutto per il suo piccolino. Un bimbo è un'esperienza bellissima, a volte difficile e complicata, ma sempre e comunque capace di cancellare le storture del mondo. Magari ci riuscirà anche questa volta, almeno per lei.
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citazione di All'ombra delle fanciulle in fiore, è il secondo libro scritto da Marcel Proust nel ciclo Alla ricerca del tempo perduto. Fu pubblicato diversi anni dopo la stesura a causa dello scoppio della Prima Guerra Mondiale. Il suo titolo originale doveva essere "Le colombe pugnalate".
Come si affronta l'argomento della guerra con i più piccoli? Prova a rispondere un racconto scritto da Francesca Dall'Ara, psicologa del Policlinico di Milano, che usa anche i simboli della Comunicazione Aumentativa per coinvolgere i bimbi con fragilità e disturbi del neurosviluppo.
Il racconto si scarica gratuitamente qui