Patologie dell'utero e dell'ovaio



Endometriosi

Il Policlinico è Centro di riferimento per la diagnosi e la cura di patologie ginecologiche benigne, in particolare l’endometriosi, l’adenomiosi e i fibromi uterini.

L'endometriosi è una malattia infiammatoria cronica e consiste nella presenza di endometrio, cioè della mucosa che normalmente riveste la cavità uterina, dove normalmente non dovrebbe essere presente: ad esempio su ovaie, pelvi, intestino, vescica e ureteri.

 

Quali sono i sintomi?

I sintomi dipendono molto dall’organo che viene colpito: più frequentemente vengono colpite le ovaie, dove si presenta con formazioni cistiche, oppure viene colpito lo spazio posteriore all’utero. I sintomi più frequenti sono forti dolori mestruali, in progressivo peggioramento, che talvolta rispondono poco ai normali analgesici, così come dolori durante i rapporti sessuali.

 

Come distinguere il dolore mestruale dal dolore da endometriosi?

Il dolore da endometriosi si distingue dal normale dolore mestruale, nel momento in cui peggiora nel corso del tempo e si nota che è tale da interferferire con le attività quotidiane. In questo caso bisogna rivolgersi al ginecologo per un sospetto di endometriosi.

 

Che problemi dà l’endometriosi?

Le conseguenze sono legate all’organo che viene colpito: si va da forti dolori fino al problema dell’infertilità, in quanto si crea all’interno della pelvi una condizione di infiammazione cronica. Vi sono anche casi in cui vengono colpiti organi non genitali: possono essere colpiti gli ureteri, la vescica, l’intestino e in alcuni casi addirittura la pleura, e cioè la membrana che avvolge gli organi interni. 

 

A che età colpisce?

L’endometriosi è una malattia che colpisce le donne, prevalentemente nel periodo riproduttivo. Ci sono ragazze che sviluppano forme di endometriosi precoce, tuttavia l’età che presenta il maggior picco di frequenza della malattia è intorno ai 30 anni.

 

Come avviene la diagnosi?

Si tratta di una diagnosi chirurgica che viene effettuata attraverso una sonda ottica inserita nell’ombelico. E' un intervento a tutti gli effetti che richiede un ricovero ospedaliero e un’anestesia generale. Ultimamente vi è la tendenza, grazie all'uso di metodiche sempre più raffinate quali l’ecografia trans-vaginale e la risonananza magnetica, ad effettuare una diagnosi non chirurgica: combinando i sintomi con la visita ginecologica e con queste tecniche diagnostiche è possibile diagnosticare con estrema affidabilità le forme moderate-severe di endometriosi.

 

Quali sono le Terapie per il trattamento dell’endometriosi?

Le terapie possono essere mediche o chirurgiche.

Le terapie mediche hanno l’obiettivo di sospendere l’attività dell'ovaio, in quanto alimenta la malattia. Ed è proprio la mestruazione che, in conseguenza dell’attività ovarica, fa aumentare sempre più le cellule dell'endometrio, che attraverso le tube arrivano nella pelvi. La terapia medica più semplice è l’uso di pillole con estrogeni a basso dosaggio, o di progestinici (un componente della pillola che viene usato in modo continuativo per inibire l’ovulazione e prevenire la mestruazione). Sono disponibili anche terapie mediche più impegnative, che vanno però usate in casi selezionati.

Alternativamente o in combinazione è possibile anche un trattamento chirurgico, sempre effettuato per via laparoscopica, e che prevede la rimozione delle cisti ovariche, dei focolai e dei noduli dati da endometriosi nella pelvi.


Adenomiosi

Il flusso mestruale che aumenta e un ciclo più doloroso del solito sono due sintomi con cui le donne si trovano spesso a che fare. Ma non vanno mai trascurati, perché potrebbero essere la spia di un problema intimo più serio: e, come sempre, intervenire precocemente può davvero fare la differenza.

L'adenomiosi è una delle patologie che può avere proprio questi sintomi alla base: non sono segnali specifici, e infatti possono essere comuni ad altre malattie come ad esempio l'endometriosi. Anche per questo è importantissimo rivolgersi a un Centro di riferimento, dove c'è grande esperienza nella diagnosi e nei percorsi di cura. Per capire meglio cos'è l'adenomiosi e come trattarla abbiamo parlato con Paolo Vercellini, direttore della Ginecologia alla Clinica Mangiagalli del Policlinico di Milano.


Fibromi uterini

La parola 'tumore' spaventa sempre, specie quando coinvolge la sfera intima. I fibromi però sono tumori dell'utero che hanno una natura benigna nella stragrande maggioranza dei casi: e se non provocano dolori particolari o problemi con il flusso mestruale può anche non essere necessario intervenire. Basta tenerli d'occhio nel tempo, per assicurarsi che non evolvano in qualcosa di diverso.

E' comunque fondamentale non trascurarli mai, rivolgersi al proprio ginecologo in caso si presenti qualche 'campanello d'allarme' e affidarsi ad un centro di riferimento per la cura dei fibromi uterini, dove è disponibile un ampio ventaglio di percorsi per trattarli. A raccontarci ogni aspetto di questa patologia è Paolo Vercellini, direttore della Ginecologia alla Clinica Mangiagalli del Policlinico di Milano, dove è attivo uno dei principali centri di riferimento d'Italia per i fibromi.

 

Che cosa sono i fibromi, e con che frequenza si presentano?

Sono dei tumori benigni della muscolatura dell'utero. La loro frequenza è elevatissima, anche se dipende molto dall'età della paziente, che è il principale fattore di rischio. I fibromi sono molto rari nella fascia 20-30 anni, ben più frequenti dai 30 ai 40 anni, ancora più frequenti tra i 40 e i 50 anni. E' stato stimato che dai 40 ai 50 anni almeno una donna su tre o una su quattro è affetta da fibromi uterini.

 

I fibromi sono tutti uguali?

Certamente no. Possono essere di dimensioni molto diverse, che vanno da pochi millimetri a molti centimetri, e soprattutto possono essere in posizioni diverse rispetto all'utero. Ad esempio possono essere piccoli, ma se sono collocati all'interno della cavità uterina (i cosiddetti fibromi sottomucosi) possono provocare un aumento del flusso mestruale molto importante, talvolta con anemia cronica da carenza di ferro. Invece altri fibromi magari più grossi, ma localizzati verso la superficie esterna dell'utero, non necessariamente portano a sintomi importanti.

 

I fibromi possono compromettere la fertilità e la gravidanza?

La presenza di fibromi può creare problemi alle possibilità di concepimento. Specialmente i fibromi sottomucosi, così come i fibromi che non alterano la cavità uterina ma comunque la 'lambiscono' possono ridurre la possibilità di rimanere incinte, aumentare la possibilità di aborto e aumentare alcune complicazioni durante la gravidanza. Ad esempio, questi fibromi possono portare ad un aumentato rischio di rottura delle membrane o di parto pretermine, favorire una placentazione anomala, un sanguinamento eccessivo al parto, e aumentano anche il rischio di portare ad un taglio cesareo.

 

Quali sono le cause dei fibromi?

Non sono ancora tutte note, ma c'è sicuramente una predisposizione genetica, sia dal punto di vista famigliare sia da quello etnico. E' noto che donne di origine africana o afroamericane hanno una frequenza decisamente superiore di fibromi uterini: probabilmente, si ipotizza, per i maggiori livelli di un ormone che stimola la crescita di questi fibromi. Un altro fattore è l'età, dato che nel corso degli anni aumenta di molto la prevalenza dei fibromi.

 

Quali sono i campanelli d'allarme a cui una donna deve prestare attenzione?

Un aumento del flusso mestruale con mestruazioni che si fanno più abbondanti, oppure un senso di peso nella zona pelvica. Infatti nei casi in cui fibromi aumentano molto di dimensioni si può avere una sensazione 'pesantezza' e di corpo estraneo. Ad esempio, se il fibroma si 'appoggia' sulla vescica ci possono essere disturbi riconoscibili, come un aumento della frequenza di minzione.

Se dovessero comparire sintomi di questo tipo, è senz'altro indicata una visita con il proprio ginecologo.

 

Come si arriva alla diagnosi di un fibroma?

Oggi è molto semplice fare diagnosi di fibroma uterino. L'ecografia transvaginale è di gran lunga la metodica più affidabile, non solo per valutare le dimensioni ma anche il numero dei fibromi, la sede di ciascuno e per mapparli in modo preciso. In base a queste informazioni, ai sintomi riferiti dalla donna e alla loro gravità, oltre che all'eventuale desiderio di una gravidanza, si possono scegliere varie alternative terapeutiche, che non escludono assolutamente la semplice osservazione: se si fa diagnosi di fibroma uterino non è detto che il trattamento sia obbligatorio.

 

I fibromi sono un problema, se si vuole avere una gravidanza?

La presenza di fibromi non impedisce di poter avere figli. Una gravidanza in presenza di fibromi rischia di portare a qualche complicazione in più, tuttavia è dimostrato che l'intervento di asportazione dei fibromi (detto miomectomia) si associa a un esito riproduttivo tendenzialmente molto buono. Se non ci sono altri fattori di infertilità, le donne che si sottopongono ad asportazione di fibromi hanno una probabilità di gravidanza che è complessivamente di circa il 70% rispetto a una donna senza fibromi. sono comunque percentuali medie, che cambiano molto anche in base all'età della donna e alla situazione personale.

Se una donna desidera una gravidanza e ha un fibroma sottomucoso, oppure diversi fibromi detti intramurali che interessano parzialmente la cavità uterina, il consiglio è quello di sottoporsi a miomectomia prima di cercare una gravidanza. Se invece questi fibromi sono esterni rispetto alla cavità uterina e non sono di grandi dimensioni, possono non costituire un gran problema per la gravidanza e potrebbe non essere necessario un intervento.

 

Sono molti i casi di donne arrivate al nostro Centro con scarsissime speranze riproduttive, e che invece dopo un intervento di miomectomia hanno felicemente raggiunto il concepimento e una gravidanza a termine. Queste sono esperienze che si ricordano con grande piacere perché sono un bel successo. E non si tratta per forza di ragazze giovani, anche perché oggi grazie alle tecniche di procreazione assistita le cose sono cambiate parecchio. Tempo fa le donne fino a 42-43 anni di fatto avevano una probabilità di concepimento talmente bassa che l'ipotesi di una gravidanza dopo un intervento di miomectomia era molto remota. Oggi invece essendoci la possibilità dell'ovodonazione l'approccio di alcune donne cambia: per questo attualmente facciamo miomectomie in età anche più avanzata rispetto al passato, specialmente nel caso ci sia una dichiarata volontà di ricercare prole con la procreazione assistita.

 

E' vero che l'obesità favorisce i fibromi?

E' possibile. Il tessuto adiposo è tutt'altro che inerte, e in particolare produce un estrogeno meno potente rispetto a quello prodotto dalle ovaie. Tuttavia se questo ormone viene prodotto in grande quantità perché c'è notevole massa adiposa, può fungere da stimolo cronico e quindi incentivare la crescita dei fibromi.

 

Come si curano i fibromi?

Al Policlinico di Milano abbiamo un ampio ventaglio di possibilità terapeutiche a disposizione.

Per trattare il flusso molto abbondante causato da fibromi sottomucosi (definito flusso emorragico) l'intervento di elezione è l'isteroscopia, cioè la resezione progressiva del fibroma tramite uno strumento endoscopico. In pratica, utilizzando uno speciale strumento con un'ansa elettrica il fibroma viene rimosso a pezzettini: è una modalità molto vantaggiosa, perché si tratta di un intervento minimamente invasivo e richiede un solo giorno di ricovero. Inoltre non viene incisa completamente la parete uterina: quindi nel caso in cui la donna rimanga incinta successivamente, il rischio di andare incontro ad un taglio cesareo non aumenta particolarmente, ed è considerato simile a quello di una donna che non ha avuto fibromi.

In altre situazioni si possono fare scelte diverse: ci sono ad esempio farmaci chiamati GNRH-agonisti che sono in grado di sospendere la funzionalità delle ovaie, bloccando di fatto le mestruazioni. In questo modo, nelle donne con mestruazioni molto abbondanti e anemia, tali farmaci permettono di ripristinare i normali valori ematologici, specialmente se in previsione c'è un intervento chirurgico. Sono però farmaci che non possono essere utilizzati per un periodo prolungato: quindi vanno usati in circostanze particolari, tendenzialmente in fase pre-operatoria.

Poi vi sono anche alternative di trattamento non chirurgiche. Come la cosiddetta embolizzazione delle arterie uterine: si tratta di iniettare nelle arterie dell'utero delle particelle che le occludono in maniera controllata. In questo modo siamo in grado di colpire selettivamente i fibromi, che hanno un elevato bisogno di sangue. Con questa tecnica la parete normale dell'utero non subisce particolari danni, mentre il fibroma va incontro a un'ischemia.

Ancora, è possibile utilizzare la radiofrequenza: questa tecnica si basa su sonde che vengono inserite nei sui fibromi. Inoltre, si possono utilizzare gli ultrasuoni, focalizzandoli sui fibromi guidati dalla risonanza magnetica.

Va sottolineato che la rimozione chirurgica dei fibromi (miomectomia) ha tendenzialmente risultati migliori rispetto alle tecniche alternative; ma le alternative offrono il vantaggio di non doversi sottoporre a un intervento chirurgico, per quanto mininvasivo. Anche per questo è importante valutare singolarmente ogni caso insieme al proprio ginecologo.

Infine, con l'avvicinarsi del periodo della pre-menopausa non va esclusa la possibilità di un intervento definitivo di asportazione dell'utero con conservazione delle ovaie. Oggi questo tipo di intervento ha un impatto decisamente molto inferiore rispetto al passato, e la conservazione delle ovaie permette anche di evitare qualsiasi problema di menopausa precoce, pur interrompendo il ciclo mestruale senza i disturbi tipici della menopausa.

In buona parte dei casi l'asportazione dell'utero può essere effettuata per via laparoscopica: ciò comporta non solo meno giorni di ricovero (massimo 3, se non ci sono particolari complicazioni), ma soprattutto una convalescenza molto più breve e un ritorno alle attività quotidiane e domestiche molto rapido, nel giro di 7-10 giorni.

L'intervento di asportazione dell'utero, in pre-menopausa o qualora la donna non abbia un desiderio riproduttivo, è tuttora l'intervento medico con un maggior grado di soddisfazione a medio-lungo termine da parte delle donne, e per questo non va affatto disdegnato.

 

I fibromi possono evolvere in tumori? Quali sintomi possono essere considerati dei 'campanelli d'allarme'?

Le stime indicano che circa lo 0,5-3 per mille dei fibromi può evolvere in una patologia neoplastica. Va comunque tenuto conto del principale fattore di rischio che è l'età: a 30 anni la probabilità che un fibroma nasconda cellule neoplastiche maligne è assolutamente marginale, mentre con l'età questo rischio cresce, fino a raggiungere il picco del 3 per mille. Bisogna dunque considerare questa possibilità, sia nella fase di diagnosi sia in quella di una possibile terapia chirurgica.

I sintomi a cui prestare più attenzione sono innanzitutto la presenza di dolori e sanguinamenti in post menopausa. I fibromi sono estrogeno-dipendenti, ovvero finché l'organismo produce ormoni estrogeni possono crescere e ingrandirsi. Ma in menopausa le ovaie non producono più estrogeni: infatti, tendenzialmente in questa fase i fibromi non crescono più, e anzi possono anche ridursi di dimensioni, tanto che raggiunta la menopausa questi problemi tendenzialmente si autorisolvono.

Se però in post menopausa una donna con fibromi riferisce dolori e sanguinamenti atipici e l'ecografia dimostra una crescita di queste lesioni, allora bisogna certamente sospettare la possibilità che si stia sviluppando una neoplasia maligna, in particolare una patologia chiamata sarcoma.

Tuttavia non è ancora chiaro se la gran parte dei sarcomi uterini e delle neoplasie maligne che insorgono nella parete dell'utero siano davvero fibromi che si siano poi trasformati in sarcomi, oppure se si tratti di un sarcoma sin dall'inizio. In ogni caso bisogna tener conto di questa possibilità, specialmente quando si prevede una chirurgia di tipo laparoscopico. Questo perché se si opta per la frammentazione del fibroma, nel caso sia in realtà un sarcoma si rischia di disseminare in addome delle cellule tumorali, con un peggioramento della situazione. Anche per questo è fondamentale rivolgersi a centri che abbiano una grande esperienza nel diagnosticare e nel curare i fibromi.

 

Qual è il ruolo della paziente nella scelta del percorso di cura?

In Policlinico teniamo in altissima considerazione i desideri, le preferenze e le priorità di vita della donna. Perché sono scelte molto individuali, e fanno parte integrante di una medicina più rispettosa del paziente. L'approccio alla cura non deve essere 'one size fits all', ovvero una soluzione unica che vada bene a tutti. Le raccomandazioni delle società scientifiche vanno applicate, ma vanno anche personalizzate in base alla situazione specifica di ciascuna persona, seguendo e rispettando la sua identità, i suoi problemi e le sue prospettive, e ovviamente anche le sue preferenze.


Tumori dell'utero

Quanto è diffuso il tumore al collo dell'utero?

Questa patologia rappresenta ad oggi il quarto tumore più comune nella donna, dopo il cancro della mammella, del colon-retto e del polmone. Si stima che nel mondo si sviluppi in circa 570.000 donne, specie nei Paesi meno sviluppati in cui non vi è un’implementazione adeguata dei programmi di prevenzione. In Italia il carcinoma della cervice uterina rappresenta il quinto tumore per frequenza nelle donne sotto i 50 anni. La forma più frequente è il carcinoma di tipo squamocellulare (circa il 90% dei casi), mentre l’adenocarcinoma rappresenta circa 10-15% di questi tumori.

Quali sono i sintomi a cui prestare attenzione? 

I principali sintomi che possono far sospettare un tumore al collo dell’utero sono le perdite di sangue anomale, soprattutto in seguito ad un rapporto sessuale, ma anche perdite nel periodo tra due cicli mestruali, oppure perdite vaginali (anche non di sangue) persistenti associate o meno a dolori pelvici.
Il tumore della cervice uterina è preceduto da lesioni pre-tumorali (chiamate neoplasie intraepiteliali cervicali) che possono progredire verso il cancro se non vengono trattate. Queste lesioni, che possono trasformarsi in tumore anche dopo 10 anni, sono spesso asintomatiche: possono però essere prevenute grazie ai test di screening, come il Pap test e il test HPV, e grazie alla vaccinazione preventiva contro il papillomavirus.

Che possibilità di trattamento ci sono per questo tumore?

La scelta del trattamento del tumore dipende dallo stadio di malattia, quanto cioè risulta diffuso al momento della diagnosi. Se il tumore è confinato solo al collo dell'utero (stadio precoce) il trattamento è di tipo chirurgico, mentre per gli stadi più avanzati (quando cioè il tumore si è esteso oltre la cervice uterina) può essere necessario un approccio integrato di radioterapia e chemioterapia.

Quali possibilità invece ci sono, se la donna desidera una gravidanza?

Nei tumori di piccole dimensioni che sono confinati al collo dell’utero è possibile, nelle pazienti giovani e disposte a sottoporsi a stretti programmi di follow-up, proporre un approccio conservativo che consiste nell'asportazione della sola cervice uterina senza una rimozione completa dell’utero. E' un intervento possibile unicamente in centri oncologici altamente specializzati, e consente di poter affrontare una gravidanza in strutture che abbiano un'elevata esperienza nel gestire casi di questo tipo, come la Clinica Mangiagalli.

Quali sono i principali fattori di rischio che favoriscono questo tumore?

Il principale fattore di rischio, in particolare per i tumori di tipo squamocellulare, è l’infezione persistente da papillomavirus ad alto rischio. I papillomavirus umani sono virus a trasmissione sessuale che hanno come principale bersaglio la cute e le mucose genitali. L’infezione da HPV è molto diffusa e avviene per contatto tra cute e mucose: quindi l’uso del preservativo non ne previene completamente la trasmissione, anche se può ridurre il contagio. Esiste inoltre una via di trasmissione meno comune ma comunque possibile, che è quella tra madre e feto (detta trasmissione verticale).
Almeno il 50% delle donne e degli uomini sessualmente attivi contrae l’infezione ad un certo punto della propria vita e le infezioni più comuni sono quelle con i genotipi ad alto rischio. Il picco è tra i 20 e i 25 anni:  la maggior parte delle infezioni da HPV è asintomatica, l'incubazione può variare da qualche settimana a 2 anni dopo il contagio e di norma si risolve spontaneamente entro 1-2 anni (fino al 90% dei casi). Il persistere di questa infezione, però, aumenta il rischio di sviluppare lesioni pre-tumorali e tumorali; inoltre ci sono ulteriori fattori di rischio che predispongono all'evoluzione verso il tumore, come il fumo di sigaretta, una compromissione del sistema immunitario, l’infezione da HIV e probabili fattori genetici.

Quali sono le varianti di HPV a rischio più alto?

Sono stati identificati circa 200 differenti tipi di papillomavirus, e oltre 60 di questi infettano il tratto ano-genitale. Vengono suddivisi in genotipi a basso, medio e ad alto rischio, intendendo con ciò qual è il potenziale con cui evolvono verso un tumore.

• Gli HPV a basso rischio (6, 11, 40, 42, 43, 44, 54, 61, 72, 81) sono correlati a condilomi floridi (lesioni benigne chiamate anche verruche genitali) e a lesioni di basso grado (lesioni sub-cliniche che spesso regrediscono spontaneamente). I genotipi 6 e 11 sono responsabili di circa il 90% dei condilomi genitali.

• Gli HPV ad alto rischio (16, 18, 26, 31, 33, 35, 39, 45, 51, 52, 53, 56, 58, 59, 66, 67, 68, 70, 73, 82) sono molto più frequenti e sono correlati sia a lesioni di alto sia di basso grado. Sono inoltre legati allo sviluppo di tumori genitali (cervice, vagina, vulva, pene) ed extra-genitali (ano e testa-collo). I genotipi 16 e 18 sono, da soli, sono responsabili di circa il 70% dei tumori della cervice uterina.

Come funziona la prevenzione attraverso il Pap test e il test HPV?

Il test impiegato finora nello screening per il cancro del collo dell’utero è il Pap test, ma recenti evidenze scientifiche hanno dimostrato che sopra i 30 anni ha un migliore rapporto costo-efficacia il test per la ricerca del genoma del papillomavirus (HPV-DNA test, o test HPV).
Lo screening dovrebbe iniziare all’età di 25 anni. L'HPV-DNA test si basa sulla ricerca dell’infezione dell’HPV ad alto rischio, e il prelievo è simile a quello del Pap test. L’esame deve essere effettuato non prima dei 30 anni e deve essere ripetuto con intervalli non inferiori ai 5 anni. Se il test HPV risulta positivo la donna dovrà sottoporsi a un Pap test che quindi diventa un esame di completamento, perché seleziona le donne che hanno modificazioni cellulari e che devono fare la colposcopia; se invece il Pap test non presenta alterazioni importanti la donna ripeterà il test HPV dopo un anno.

Dai 25 a 30 anni l’esame di riferimento rimane il Pap test, da eseguirsi ogni tre anni. Questa scelta è dovuta al fatto che in giovane età la probabilità di avere un'infezione da HPV è molto alta senza che questa assuma un'importanza clinica. Qualora il test di screening risultasse positivo viene eseguita la colposcopia.

La colposcopia è un esame di approfondimento che viene effettuato solo nel caso in cui gli esami di screening risultino positivi. Permette di valutare la presenza di lesioni correlate all'HPV grazie all'applicazione di reagenti e all’utilizzo di lenti di ingrandimento; non è un esame doloroso, dura pochi minuti e viene effettuato in regime ambulatoriale. Durante l’esame è possibile anche effettuare prelievi di tessuto, per confermarne il grado di lesione e decidere quindi quale iter terapeutico seguire. Se si conferma una lesione pre-tumorale, si procede all'asportazione chirurgica attraverso tecniche basate su laser, radiofrequenza o bisturi a lama fredda: solitamente anche queste procedure vengono effettuate in anestesia locale in regime ambulatoriale. 

Come funziona la prevenzione attraverso il vaccino anti-HPV?

L’arma più efficace per prevenire l’infezione da papillomavirus è il vaccino anti HPV. Sono disponibili tre vaccini profilattici, che però non proteggono dai tipi di HPV a cui la paziente è già stata esposta né hanno effetto terapeutico sulle patologie HPV-correlate. Tuttavia il loro impiego si è dimostrato efficace anche nel ridurre il rischio di recidiva in pazienti precedentemente trattate per lesioni pre-tumorali o per condilomatosi anogenitale.

Questi vaccini non contengono il DNA del virus, ma sono costituiti da particelle simil-virali (Virus Like Particles o proteine del capside “involucro”): provocano quindi un’efficace risposta immunitaria superiore a quella indotta dall’infezione naturale. Queste proteine non sono né infettive né oncogeniche, e quindi sono considerate sicure. La vaccinazione va effettuata per prevenire tutte le patologie HPV-correlate, e non è necessario determinare prima se le persone siano positive o meno per i tipi virali inclusi nel vaccino. Gli effetti collaterali più frequenti e transitori (regrediscono spontaneamente) sono: dolore e arrossamento nel sito di iniezione, oppure febbre e cefalea.

Ad oggi sono disponibili tre tipi di vaccino anti-HPV:

  • Vaccino Bivalente: previene infezione da HPV 16-18
  • Vaccino Quadrivalente: previene infezione da HPV 16-18-6-11
  • Vaccino Enavalente: previene infezione da HPV 16-18-31-33-45-52-58-6-11

La vaccinazione può essere eseguita nelle femmine e nei maschi a partire dai 9 anni di età, ed esiste un’offerta vaccinale secondo programmi regionali. In Lombardia ad esempio l’offerta è gratuita a femmine e maschi dagli 11 anni fino ai 17 anni di età. Altre categorie cosiddette a rischio beneficiano di vaccinazione gratuita: soggetti HIV positivi, MSM (maschi che hanno rapporti sessuali con maschi), donne con diagnosi recente (entro un anno) di lesione pre-neoplastica cervicale di alto grado. E’ inoltre prevista dalla regione un’offerta in co-payment (maschi e femmine dai 18 ai 45 anni di età), disponibile anche nel nostro Policlinico.

Tra 11 e 14 anni sono previste due dosi a distanza di 6 mesi dalla prima. Dai 15 anni di età sono previste 3 dosi (le successive oltre la prima a distanza di 2 e di 6 mesi). L’intero ciclo vaccinale deve comunque essere effettuato entro un anno.

La vaccinazione non sostituisce il normale screening del collo dell’utero anche perché il vaccino non protegge da tutti i tipi di HPV. Quindi è fondamentale che la donna continui a sottoporsi ai programmi di screening o ai controlli previsti.

Quali sono i percorsi che offre il Policlinico di Milano per le patologie correlate ad HPV?

Nel Policlinico è attivo il “Centro di riferimento per la prevenzione, la diagnosi e la cura della patologia genitale HPV-correlata”, in cui vengono prese in carico tutte le pazienti con sospetto clinico di patologia HPV-correlata o che risultino positive ai test di screening. Durante le visite viene offerta consulenza riguardo la patologia e vengono effettuati esami diagnostici come la colposcopia, la vulvoscopia e l’anoscopia in casi selezionati. Vengono inoltre effettuati trattamenti chirurgici ambulatoriali (LEEP o trattamenti ablativi di laser-vaporizzazione o diatermocoagulazione mediante radiofrequenza). Il servizio offre inoltre la possibilità di far riferimento a specialisti come chirurgo plastico, dermatologo, chirurgo proctologo o otorinolaringoiatra per un approccio multidisciplinare. Le prestazioni vengono erogate con il Sistema Sanitario Nazionale, prenotando attraverso il numero verde regionale 800 638 638. E' inoltre disponibile, tramite un’agenda dedicata, un servizio per i casi ritenuti più urgenti, qualora le pazienti abbiano difficoltà a prenotare in tempi brevi le prestazioni.

Gli ambulatori di Oncologia Medica del Policlinico sono invece attivi per dare consulenza e supporto a pazienti con diagnosi di tumore invasivo e per il follow-up di pazienti precedentemente trattate per tumore. Il servizio fa riferimento anche ad altri centri oncologici in cui è disponibile la radioterapia quando vi sia la necessità di trattamenti combinati radio-chemioterapici e, nelle pazienti giovani e desiderose di gravidanza, al centro di Procreazione Medicalmente Assistita del Policlinico, per valutare la possibilità di preservare la fertilità.


Tumore al collo dell'utero


Quali sono i campanelli d'allarme?

- perdite di sangue anomale, soprattutto dopo rapporti sessuali

- perdite di sangue anche tra due cicli mestruali

- perdite vaginali (anche non di sangue) persistenti, associate o meno a dolori pelvici

Ricorda: le lesioni che possono progredire a tumore sono spesso asintomatiche. E' importante sottoporsi a screening periodici (Pap test, HPV test) e alla vaccinazione preventiva contro il papillomavirus.

Cosa favorisce il tumore?

- l'infezione persistente da papillomavirus (HPV)

- ulteriori fattori di rischio, come il fumo, una compromissione del sistema immunitario, l’infezione da HIV e probabili fattori genetici.

Ricorda: l'uso del preservativo non ne previene completamente la trasmissione, anche se può ridurre il contagio

Come si può fare prevenzione?

Attraverso screening periodici:

- a partire dai 25 anni, con un Pap test ogni 3 anni

- con l'HPV-DNA test se hai più di 30 anni, da ripetersi ogni 5 anni


E attraverso i vaccini:

- ne sono disponibili 3, a seconda delle varianti di virus da cui proteggono (vaccino Bivalente: previene infezione da HPV 16-18, Quadrivalente: previene HPV 16-18-6-11, Enavalente: previene HPV 16-18-31-33-45-52-58-6-11)

- evitano l'infezione dai genotipi di HPV più comuni

- sono efficaci nel ridurre il rischio di recidive in pazienti che hanno avuto lesioni pre-tumorali

- provocano un’efficace risposta immunitaria, superiore a quella indotta dall’infezione naturale

- possono farla femmine e maschi, a partire dai 9 anni. L'offerta vaccinale segue i programmi regionali: in Lombardia è gratuita tra gli 11 e i 17 anni, ed è offerta in co-payment (ovvero, il costo è in parte a carico dell'utente) dai 18 ai 45 anni.

- è gratuita anche per categorie considerate più a rischio: soggetti HIV positivi, MSM (maschi che hanno rapporti sessuali con maschi), donne con diagnosi nell'ultimo anno di lesione pre-neoplastica cervicale di alto grado.

Ricorda: La vaccinazione non sostituisce il normale screening del collo dell’utero, anche perché il vaccino non protegge da tutti i tipi di HPV. E' è fondamentale continuare a sottoporsi ai programmi di screening o ai controlli previsti!


Sindrome dell'ovaio policistico

Ovaio policistico (PCO) e sindrome dell’ovaio policistico (PCOS) sono la stessa patologia? La questione genera non poca confusione fra le donne, che spesso parlano delle due cose come se si trattasse dello stesso disturbo. Nonostante nomi molto simili però, ovaio policistico e sindrome dell’ovaio policistico sono due situazioni completamente diverse. Infatti, se la prima è una condizione ecografica delle ovaie presente in almeno una donna su 4, la seconda è una vera e propria patologia endocrina, che colpisce in Italia dal 5 al 10% della popolazione femminile.

Per fare chiarezza sul tema, abbiamo chiesto l’aiuto di Walter Vegetti, ginecologo nell’unità operativa di Procreazione Medicalmente Assistita (PMA) del Policlinico di Milano.


Tumore all'ovaio

Chi colpisce il carcinoma ovarico? Quali sono i sintomi? 

Ne abbiamo parlato con Giovanna Scarfone, referente per i tumori in gravidanza alla Clinica Mangiagalli del Policlinico di Milano.



Aggiornato alle 09:48 del 30/01/2024