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22/07 2019
Cultura

#Benefattori Una vita disegnata da altri: Cesare Fantelli

— Valentina Regonesi

A chi legge la storia di Cesare Fantelli (1818-1875) rimane una sensazione di incompiutezza, come se la sua vita avesse voluto prendere una certa piega ma poi, in qualche modo, le cose sono andate sempre in modo diverso. Già dall’inizio la sua esistenza è caratterizzata dall’ambiguità: ha un padre (Domenico Fantelli) e una madre (Teresa Pozzi), ma la Parrocchia lo indica come “esposto”, ovvero come bimbo abbandonato.

Viene cresciuto da uno zio, che lo avvia sì al mestiere di oste, introducendolo alle attività di famiglia e facendogli gestire l’osteria denominata “Boeuc” in Ripa di Porta Ticinese; ma gli impone anche di sposare sua nipote, tale Marietta Rolfini. Non c’è possibilità di scelta. Lo stesso zio che prima gli lascia in eredità la licenza del suo negozio e una bella somma per portare avanti l’attività, ma che poi si scopre aver nominato suo erede universale il fratello, e quindi addio osteria...

Fantelli perde il lavoro e perde anche l’amore: perché il fratello erede dello zio defunto gli impone come sposa un’altra nipote, Antonia Rolfini, cugina della povera Marietta. La quale, non dimentica del torto subìto, alla morte del Fantelli rivendicherà per lungo tempo una grossa parte di eredità, essendo stata lei, a suo dire, l’ispiratrice morale, ma anche e soprattutto materiale, dell’espansione commerciale del defunto e promesso sposo. Alla fine, sposata una cugina invece dell’altra, Cesare Fantelli muore comunque solo, vedovo e senza figli. Non gli resta che lasciare i suoi beni all’Ospedale Maggiore, che nomina suo erede universale.

NomeMa i contrasti che lo accompagnarono in vita, il Fantelli se li porta anche nella tomba. Eh sì, perché iniziano le polemiche sul ritratto che l’Ospedale fa eseguire in sua memoria...Se ne occupa il pittore Eleutero Pagliano, che nel 1877 consegna un ritratto dove il benefattore appare nella sua cantina, con le maniche rimboccate, l'orecchino al lobo sinistro, mentre risale con un mezzo litro di vino appena spillato.

La critica e la famiglia lo distruggono: è un insulto al decoro borghese e alla solida posizione economica raggiunta dal Fantelli, riconosciuto come facoltoso commerciante di vini e non tanto come oste di periferia. Insorge anche la Mutua Associazione Osti e Trattori, che commissiona al Pagliano un secondo ritratto, più consono al rango sociale che aveva conquistato.


NomeMa anche questa volta la seconda scelta non è la miglior soluzione...la nuova versione del dipinto risulta sì più imborghesita, ma l'ambientazione elimina ogni allusione all'attività del Fantelli, stagliato contro un generico sfondo chiaro, e toglie del tutto quell’immediatezza che caratterizza la prima opera.

C’è un gran finale in questa storia? In parte sì. Cesare Fantelli per la sua dipartita da questo mondo si programma un’uscita di scena trionfale. Un funerale di prima classe, con la salma trasportata da mille poveri della sua parrocchia dotati ciascuno di un cero e ricompensati da due lire per il servizio, insieme a cinquanta Stelline, il tutto accompagnato dall’intera banda musicale del borgo di San Gottardo.

 

"Stelline" è il nome dato dal XVII secolo in poi alle bambine orfane ospitate nel monastero dell'ordine delle monache benedettine di Santa Maria della Stella a Milano, il corrispondente femminile dei Martinitt dato ai maschietti orfani.


E poi, un monumento funebre al Cimitero Monumentale, con precise indicazioni di realizzarlo tutto in marmo bianco di Carrara, composto da un’urna sormontata dal feretro del benefattore, sorretta da quattro fusti di colonne con leoni. Ma anche questa volta, per l’ennesima volta, la vita del Fantelli non segue le sue volontà: troppo costoso il marmo bianco, e così i leoni e lo zoccolo vengono realizzati in granito, i fusti di colonna in marmo nero, la pietra rossa di Verona viene utilizzata per l’urna e solo la statua del defunto ha il privilegio di essere di marmo bianco. E comunque neanche il monumento funebre piace alla critica, che non risparmia osservazioni alquanto dure sulla sua realizzazione. Insomma, per Cesare Fantelli, da vivo come da morto, “mai ‘na gioia”.

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