
Salvare il mondo, per caso. La nascita degli antibiotici
— di Valentina Meschia
È passato quasi un secolo dalla scoperta di quello che sarebbe stato il primo antibiotico della storia: la penicillina. Tutto nacque per caso, nel laboratorio del ricercatore Alexander Fleming mentre stava lavorando su alcuni ceppi di batteri fatti crescere in piastre di coltura. Era il 1928 quando di ritorno da una vacanza, Fleming notò che in una delle piastre c’era un’area in cui i batteri non erano cresciuti: al loro posto c’era un alone chiaro. Dopo averlo analizzato lo scienziato scoprì che la piastra era stata accidentalmente contaminata da una muffa verde, Penicillium notatum, che aveva causato la distruzione delle colonie batteriche. Chiamata inizialmente ‘succo di muffa’, il 7 marzo 1929 Fleming battezzò la sostanza con nome di penicillina.
Il 25 ottobre 1945, assieme agli scienziati Ernst Chain e Howard Walter Florey, Alexander Fleming ricevette il premio Nobel per la medicina per aver ottenuto il primo antibiotico in forma pura.
Da allora gli antibiotici sono diventati una pratica comune facendo la storia della medicina moderna. A partire dalla loro scoperta, infatti, hanno contribuito in modo determinante ad impedire la diffusione di infezioni batteriche e a ridurre al minimo le complicazioni gravi: molte malattie non curabili fino a quel momento, grazie agli antibiotici lo sono diventate.
Che sia mal di gola, bronchite, un ascesso o cistite, grazie all’effetto antibatterico di questi medicinali nel giro di qualche giorno, se in salute e non presenti particolari condizioni, si guarisce. Almeno una volta nella vita tutti noi abbiamo avuto bisogno di prendere l’antibiotico, per aiutare il nostro sistema immunitario a contrastare un'infezione batterica. Negli ultimi anni però si sente sempre più spesso parlare di antibiotico-resistenza.
Di cosa si tratta? Lo abbiamo chiesto ad Alessandra Bandera, direttrice Malattie Infettive del Policlinico di Milano.
Negli ultimi anni si è osservato che antibiotici comunemente utilizzati per curare infezioni batteriche come, ad esempio, la penicillina nella polmonite batterica, sono diventati meno efficaci o non funzionano affatto. Con il termine antibiotico-resistenza si intende la capacità di un batterio di resistere all'azione di un antibiotico e quindi di sopravvivere e moltiplicarsi anche in loro presenza, dando vita quindi a una infezione responsabile di una determinata malattia infettiva.
Quali sono le cause?
Il fatto che i batteri sviluppano resistenza ad un antibiotico è un naturale processo evolutivo di sopravvivenza: il batterio che diventa resistente moltiplicandosi trasferisce la sua capacità di resistere agli antibiotici ad altri batteri. Questo fenomeno però può essere accelerato da un uso eccessivo e non corretto di questi farmaci.
Si può prevenire?
L'antibiotico-resistenza oggi è uno dei principali problemi di sanità pubblica a livello mondiale. Il rischio di essere infettati da batteri antibiotico-resistenti riguarda, infatti, non solo chi assume in modo scorretto ed eccessivo gli antibiotici ma anche coloro che saranno successivamente contagiati da quei batteri. L'antibiotico-resistenza è quindi un problema sociale. Per far fronte a questa situazione l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha diffuso raccomandazioni e proposto strategie per contenere il fenomeno. Negli ospedali è sempre più importante la figura di medici esperti nel buon uso degli antibiotici (in particolare infettivologi, ma anche altri specialisti formati sull'argomento) che possano garantire la miglior cura possibile ai pazienti evitando nello stesso tempo un consumo eccessivo di antibiotici. Fuori dagli ospedali, esistono campagne promozionali per ridurre il consumo di antibiotici in corso di influenza, raffreddore ed altre infezioni virali e per incentivare le vaccinazioni nelle persone a rischio. Per esempio, il vaccino per lo pneumococco non solo protegge persone anziane o fragili dalle forme gravi di polmonite pneumococcica, ma riduce anche il consumo di antibiotici legato al trattamento di queste infezioni. È bene sottolineare che oggi il problema dell’antibiotico-resistenza è molto complesso e non riguarda solo la medicina umana ma anche la salute degli animali e dell’intero ecosistema. Si pensi all’utilizzo degli antibiotici negli allevamenti intensivi o di alcuni antifungini o antiparassitari nelle coltivazioni agricole. L’approccio olistico One Health che integra specialisti differenti (medici, veterinari, ambientalisti, economisti, sociologi…) è riconosciuto come il modello più efficace per la gestione di queste problematiche complesse.
Come mai, dato che esistono antibiotici differenti, non si può evitare che si sviluppi la resistenza?
I batteri quando sottoposti a “pressione antibiotica”, ovvero a seguito di un utilizzo eccessivo e scorretto degli antibiotici, possono diventare resistenti a più antibiotici contemporaneamente (multi-resistenza). Le infezioni da batteri multi-resistenti sono molto difficili da trattare poiché la diminuzione dell'efficacia degli antibiotici esistenti non è stata compensata negli anni dall'introduzione di nuovi antibiotici. Ci vuole infatti tempo e grandissime risorse economiche per sviluppare nuove molecole efficaci e sicure.
Gli antibiotici sono efficaci anche contro i virus?
No. La diversa struttura e natura dei virus rende gli antibiotici inefficaci. I batteri hanno un nucleo contenente DNA e possono replicarsi, ed è proprio la replicazione batterica il target di molti antibiotici. I virus invece per poter sopravvivere e moltiplicarsi hanno bisogno di un'altra cellula, e questo li rende “immuni” alla terapia antibiotica. Esistono tuttavia specifici farmaci antivirali, come quelli per il trattamento di herpes, influenza o COVID-19.
Nemici pubblici
Tra le specie batteriche più importanti divenute resistenti agli antibiotici ci sono lo Staphylococcus aureus, che può causare infezioni della cute, polmoniti e infezioni gravi di tutto l'organismo (sepsi); la Klebsiella pneumoniae, che provoca sepsi, infezioni urinarie e polmonari; l'Escherichia coli che può provocare diversi tipi di infezioni, tra le quali le più comuni sono le infezioni urinarie e Pseudomonas aeruginosa, responsabile di sepsi e infezioni gravi soprattutto ospedaliere.Buona, questa muffa!
Pochi sanno che fu Vincenzo Tiberio, un ricercatore e ufficiale medico della Marina Militare Italiana, il primo a scoprire nel 1895 il potere battericida di alcuni estratti di muffe. Egli notò che ogni qual volta il pozzo veniva ripulito, gli abitanti della casa andavano incontro a problemi intestinali, cosa che non accadeva invece nel periodo in cui erano presenti le muffe. Tiberio intuì un possibile collegamento tra la presenza delle muffe nel pozzo e la crescita di batteri patogeni, riuscendo a dimostrare che l’azione terapeutica delle muffe fosse legata ad alcune sostanze da loro prodotte.