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21/09 2021
Salute

#GiornataMondialeAlzheimer. I nostri professionisti rispondono alle domande dei pazienti

— di Team professionisti Neurologia - Malattie Neurodegenerative

Il 21 Settembre è la Giornata Mondiale dell'Alzheimer. Per l'occasione un team di esperti del Policlinico di Milano, in collaborazione con l'Università degli Studi di Milano, il Centro Dino Ferrari e gli psicologi dell'AMA, risponde alle principali domande dei pazienti sulla malattia

Insieme nella diffusione della conoscenza così come nella cura.


Nota introduttiva di Ezio Belleri, Direttore Generale del Policlinico di Milano.

Il 21 settembre è la Giornata Mondiale dell'Alzheimer. Una giornata di confronto su questa malattia, che mette al centro non solo gli aspetti scientifici ma anche uno dei temi che ci sta particolarmente a cuore: quello dell'assistenza alle persone fragili e a coloro che li assistono, specie in una patologia complessa come l'Alzheimer e le demenze in genere.

   Oggi la medicina è profondamente diversa rispetto al passato. Se in antichità era un sapere nelle mani di pochi 'eletti', oggi è solida perché è condivisa, avvalorata e verificata secondo i più alti standard clinici e scientifici.

Solo in anni recenti si è sviluppato il concetto di sanità pubblica, per migliorare la vita non solo del singolo ma della comunità, attraverso interventi mirati. I modelli sanitari non devono più garantire solo la salute del singolo, ma devono garantire il benessere, curando le persone malate non solamente per la loro malattia, ma per tutto ciò che ha a che fare con la stessa: che si traduce in assistenza, supporto, trasparenza nel raccontare i percorsi di cura. Sono contento che la giornata di oggi abbia sullo sfondo anche questo concetto, di aiutare oltre la cura.

   Del resto, il buon funzionamento del sistema socio-sanitario deve poggiare sulla fiducia reciproca tra sanitari e pazienti, così come sulla qualità delle informazioni che vengono condivise e scambiate. Se non c'è fiducia mettiamo a rischio l'efficacia e la sicurezza delle terapie, e a lungo andare anche l'interesse pubblico e la promozione della salute a tutti i livelli. Inoltre, gli operatori della salute dovrebbero sempre farsi garanti degli interessi dei pazienti, dato che il malato, per definizione, è un soggetto fragile. Al di là delle regole da seguire e dei costi da monitorare, questo è un punto imprescindibile.

   Nel nostro Ospedale, primo IRCCS pubblico in Italia per qualità e quantità della ricerca scientifica prodotta, proprio la Neurologia è insieme all'Ematologia il primo settore per Impact Factor e per l’intensa attività di sperimentazione clinica e di laboratorio. La malattia di Alzheimer e le malattie degenerative e neuromuscolari (congenite e acquisite) sono i settori di ricerca di punta.

E' anche per questo che sono certo dell'impegno che i nostri esperti mettono in campo ogni giorno per i nostri pazienti, un supporto non solo scientifico ma anche umano, che non deve mai venir meno.

 


Che cos’è la malattia di Alzheimer?
Risponde Dott. Arighi
La malattia di Alzheimer è una malattia neurodegenerativa, che colpisce le cellule del sistema nervoso centrale. E' caratterizzata dalla perdita di cellule cerebrali, particolarmente in quelle aree del cervello deputate  alle principali funzioni cognitive. I sintomi principali sono il declino della memoria e di altre funzioni, come l'orientamento o il linguaggio, tali da interferire con le attività della vita. La malattia è progressiva, perciò inizialmente si presenta con sintomi sfumati e subdoli, difficilmente riconosciuti dal paziente, ma spesso riscontrati dai famigliari che vivono con lui.

 

Quali sono i percorsi attivi in Policlinico?
Risponde Dott. Arighi
Il Policlinico ha predisposto un Percorso Diagnostico, Terapeutico e Assistenziale (PDTA) che vede collaborare Neurologi, Psichiatri e Geriatri per la cura di pazienti adulti e anziani affetti da decadimento cognitivo e disturbi psico-comportamentali. Il percorso prevede una stretta collaborazione tra specialisti e la possibilità di impostare per ciascun paziente un percorso adeguato per definire un inquadramento diagnostico preciso e rapido mediante le più moderne tecniche disponibili. Al Policlinico ono disponibili le più moderne strutture per affrontare queste patologie: ambulatorio multidisciplinari che vedono collaborare diversi specialisti, laboratorio di neuropsicologia con diverse batterie specifiche per caratterizzare nel dettaglio le funzioni cognitive, risonanza magnetica ad alto campo, PET con traccianti di ultima generazione, laboratorio di neurobiologia per l'analisi del liquor cefalorachidiano e la ricerca di nuovi marcatori plasmatici, laboratorio di neurogenetica con analisi di nuova generazione per definire anche mutazioni rare.

Definita la patologia alla base del decadimento cognitivo, verrà poi impostata la terapia più adeguata, secondo le attuali linee guida, e eventualmente consigliato anche l'arruolamento in trial clinici che prevedono la somministrazione di nuove molecole in fase di studio per le patologie neurodegenerative.

 

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Quante sono in Italia le persone colpite?
Risponde Dott. Arighi
La malattia di Alzheimer è la più comune malattia neurodegenerativa: si stima che nel mondo venga posta una nuova diagnosi di demenza ogni 4 secondi. Nel mondo si stimano circa 46 milioni di pazienti con demenza, dei quali 1,2 milioni sono in Italia, con circa 270 mila nuovi casi all'anno. In Lombardia ci sono 115 mila pazienti affetti da demenza, nella sola città di Milano sono 25 mila. La prevalenza della demenza nei paesi industrializzati è circa del 8% negli over 65 e sale oltre il 20% dopo gli ottanta anni. La demenza è in crescente aumento nella popolazione generale ed è stata definita dall'OMS una priorità mondiale di salute pubblica.

 

Quali sono i principali sintomi premonitori?
Risponde Dott. Rotondo
Il sintomo cognitivo principale è la graduale e progressiva perdita della memoria recente. In pratica, si fa sempre più fatica a ricordare avvenimenti della vita di tutti i giorni. Solitamente questo sintomo viene accompagnato da un disorientamento temporale (non si ricorda il giorno del mese, della settimana, il mese, la stagione e l'anno) e, talvolta, una mancanza di consapevolezza proprio delle difficoltà appena elencate. Oltre ai segni clinici e cognitivi ci sono dei marcatori biologici e neuroradiologici che contribuiscono in modo decisivo ad un corretto inquadramento diagnostico.

 

Come evolve?
Risponde Dott. Carandini

Oltre alla memoria, che è tradizionalmente la funzione compromessa per prima, con il progredire della malattia, possono comparire  anche difficoltà nell'orientamento spaziale, nel linguaggio e nella capacità di eseguire gesti comuni o riconoscere persone note. Sono possibili anche alterazioni del comportamento, quali agitazione e aggressività, e nelle fasi più avanzate incontinenza, difficoltà motorie e crisi epilettiche.

 

Qual è la causa?
Risponde Dott. Galimberti
La causa sembra essere la deposizione di proteine patologiche in specifiche sedi del cervello, che portano i neuroni inizialmente ad un funzionamento ridotto e alla fine alla morte. Questi eventi determinano la comparsa dei sintomi e giustificano la natura progressiva della malattia, in quanto le cellule morte non possono essere rimpiazzate. A monte della deposizione di queste proteine ci sono diversi meccanismi biologici, fra cui l’anomala attivazione di molecole infiammatorie.

 

Esistono fattori di rischio?
Risponde Dott. Fumagalli
Ci sono due tipi di fattori di rischio, quelli genetici e quelli legati allo stile di vita detti anche ambientali. Tra i fattori di rischio genetici il più importante è genotipo APO-E. La maggior parte delle persone ha un genotipo APO-E epsilon 3 e ha un rischio medio. Le persone con un genotipo e2 hanno un rischio ridotto mentre quelle con e4 il rischio è aumentato. Ricordiamo però che rischio aumentato non vuol dire che si svilupperà la malattia sicuramente. Tra i fattori di rischio ambientali invece ci sono la sedentarietà, il fumo, l'alcol, la pressione alta. Anche la perdita di udito può influenzare la malattia soprattutto se non viene corretta.

 

Si può prevenire?
Risponde Dott. Arighi
La prevenzione è uno strumento fondamentale per affrontare questa malattia. Dal momento che conosciamo una serie di fattori di rischio ambientali modificabili, l'elemento principale della prevenzione è l'eliminazione di questi fattori con una correzione dello stile di vita: non fumare, non assumere alcolici, controllare la pressione arteriosa, la glicemia ed il colesterolo mediante la dieta e l'attività fisica. La dieta mediterranea è ormai riconosciuta dalla letteratura internazionale come fondamentale per la prevenzione della demenza, così come un'attività fisica regolare e quotidiana. Recentemente si sta riconoscendo anche un ruolo alla stimolazione cognitiva, perciò attività culturali e sociali sembrano prevenire l'esordio del decadimento cognitivo.

 

È ereditaria?
Risponde Dott. Galimberti
E’ ereditaria nel senso di trasmissibile da una generazione all’altra in pochissimi casi (non più del 2% a livello internazionale, con frequenza variabile nei vari Paesi), che spesso hanno un esordio precoce (<60 anni). Nella maggior parte dei casi la malattia è multifattoriale, cioè esistono fattori predisponenti, sia genetici che ambientali, che aumentano il rischio di sviluppo di malattia, ma non possono essere considerati l’unica causa della stessa.

 

Quali sono gli esami da fare per capire se ho l'Alzheimer?
Risponde Dott. Arighi
Il percorso diagnostico per la malattia di Alzheimer si differenzia in base alla sintomatologia iniziale ed alle caratteristiche del paziente. Dopo una prima visita neurologica di inquadramento, come primo livello di accertamenti vengono eseguiti una batteria di test neuropsicologici, costituita da diversi test che indagano le diverse funzioni neuropsicologiche (memoria, linguaggio, orientamento, funzioni visive, calcolo, attenzione...), ed una TC encefalo, che permette di valutare la struttura del cervello. Il secondo livello, che viene definito sulla scorta dei risultati ottenuti dai primi accertamenti, può prevedere indagini di neuroimaging più avanzate, come la risonanza magnetica o la PET encefalo con glucosio radiomarcato, e indagini che permettono di definire il processo patologico in atto. Una volta definita la patologia, in base all'età del paziente ed alla presenza di altri soggetti affetti tra i famigliari, si può decidere di approfondire ulteriormente il quadro con analisi genetiche avanzate.

 

E' vero che colpisce soprattutto le donne?
Risponde Dott. Carandini
Si, è vero. Si stima che circa 2/3 dei malati di Alzheimer sia di sesso femminile, soprattutto nella fascia di età superiore agli 85 anni. La risposta più scontata a questa differenza di incidenza è che le donne hanno un'aspettativa di vita maggiore degli uomini e quindi una possibilità più elevata di raggiungere le fasce di età a rischio per lo sviluppo della malattia. Accanto a questa teoria, la ricerca sta cercando di identificare altri fattori in grado di spiegare come mai le femmine sono più a rischio di sviluppare l'Alzheimer, quali il ruolo degli ormoni femminili, una predisposizione genetica o determinati stili di vita.

 

E' vero che colpisce solo gli anziani?
Risponde Dott. Fumagalli
No, la malattia di Alzheimer nonostante sia presente soprattutto con l'invecchiamento, colpisce anche persone giovani, soprattutto in caso di mutazioni genetiche o di forme particolari. Inoltre bisogna ricordare che la terza età non è affatto sinonimo di demenza visto che la maggior parte delle persone va incontro ad un invecchiamento fisiologico e non mostra disturbi cognitivi significativi

 

Si muore di Alzheimer?
Risponde Dott. Carandini
L'aspettativa di vita di un malato di Alzheimer varia dai 3 ai 20 anni. Tuttavia, non si muore letteralmente di Alzheimer, ma delle complicanze che la malattia comporta nelle fasi più avanzate. Il deterioramento del quadro cognitivo e motorio causa un aumentato rischio di cadute e fratture e conduce ad un progressivo allettamento che predispone ad infezioni, soprattutto polmonari, e ad un aumentato rischio trombotico. Vi è poi una tendenza alla malnutrizione e alla disidratazione, secondaria alla difficoltà di alimentarsi. Fondamentale è quindi la presa in carico multidisciplinare del paziente in un Centro Alzheimer per prevenire ed eventualmente trattare adeguatamente tali complicanze.

 

C’è una cura?
Risponde Dott. Fumagalli
Ci sono dei farmaci che aiutano a contrastare i sintomi ma non curano la malattia. Questi farmaci sono comunque utili perchè aiutano i pazienti e chi si prende cura di loro a stare meglio. I farmaci agiscono rendendo più disponibile un neurotrasmettitore (l'acetilcolina) a livello cerebrale oppure bloccando dei canali a livello dei neuroni. Purtroppo in questo momento non c'è un farmaco che possa invertire la rotta o anche solo bloccare la malattia ma la ricerca in questo campo è molto ricca e speriamo di trovare presto una soluzione.

 

Cosa può fare la famiglia nell’assistenza al malato di Alzheimer?
Risponde Dott. Rotondo
La famiglia ha di certo un ruolo fondamentale nella malattia. Da un lato, vive con il paziente le problematiche legate all'assistenza, e dall'altro rappresenta un punto di forza nella gestione pratica e psicologica delle medesime difficoltà. Inizialmente il ruolo principale della famiglia è supportare il malato durante l'iter diagnostico, alla comunicazione della diagnosi, nella gestione della terapia e dei controlli clinici. Con la progressione della malattia, si rende necessaria una supervisione via via più costante fino ad una vera e propria assistenza domiciliare. Le famiglie, purtroppo, sono spesso in serie difficoltà nel ridefinire gli equilibri e nell'instaurare nuove dinamiche mirate all'accudimento e al miglioramento della qualità della vita del paziente e di tutto il nucleo familiare. In questo scenario è fondamentale, quindi, fornire alle famiglie le informazioni, il sostegno e gli strumenti che possano facilitare il più possibile questo arduo e complesso 'compito' che quasi mai sono preparate ad affrontare. Chi può farlo? Il centro di riferimento, in primis, seguito poi dalle associazioni che sul territorio focalizzano il proprio lavoro al sostegno di queste famiglie.

 

Gli psicologi di AMA rispondono:

 

Qual è l’impatto della malattia sui familiari?
Spesso si sente dire che la malattia di Alzheimer fa due vittime: la persona colpita e la sua famiglia. Dalla diagnosi in poi, in generale, la famiglia si trova effettivamente ad affrontare una serie di necessari adattamenti che impattano in modo importante sulla sua organizzazione. Il lavoro di cura, che questa malattia richiede, è, infatti, complesso perché riveste diverse dimensioni: quella pratica (supporto alle attività di vita quotidiana), quella relazionale (mantenere i legami con le persone importanti per il malato), la dimensione organizzativa (gestire gli appuntamenti e la “burocrazia”), la dimensione etica (dover scegliere “al posto di….”), e la dimensione emotiva. Quest’ultima non riguarda solo l’imparare a gestire le emozioni del malato, spesso amplificate dall’incapacità di attingere a strategie di autocontrollo e innescate dalla difficoltà di corretta interpretazione di ciò che accade, ma anche riconoscere e legittimare le proprie. Accade spesso che, accanto soddisfazione di sentirsi utile, il familiare che cura provi tristezza (ad esempio perché sente di perdere la persona di sempre), rabbia (ad esempio verso se stesso per non essere abbastanza bravo, verso gli altri familiari che non aiutano, verso il malato che gli “sta rubando la vita”) e paura (ad esempio di non farcela o di come andrà avanti la malattia).

 

Cosa accade nella relazione con il malato?
In generale, l’alterazione della memoria, e di altre funzioni cognitive, cambiano col tempo il rapporto col malato modificando sia le abitudini della vita quotidiana sia la relazione del legame con lui (inversione del ruolo figlio-genitore, progressiva perdita del rapporto paritario fra coniugi o fratelli). La progressiva tendenza della memoria a ricordare sempre più indietro nel tempo porta il malato a tenere comportamenti più coerenti con fasi precedenti della propria vita, piuttosto che attuali, che solo la conoscenza della sua specifica vita passata può aiutare a comprendere e a gestire. Inoltre, la mancanza di consapevolezza dei propri deficit da parte del malato, che fa parte della malattia, può rendere la relazione con lui complessa  e fonte di opposizioni e di conflitti. In famiglia, al legame affettivo e familiare di sempre si  somma, a tratti si sovrappone, la relazione di cura, che, man mano che la necessità di protezione e di assistenza aumenta, diventa gradualmente un secondo ruolo svolto nei confronti del proprio caro. Si instaura un doppio legame, familiare e di cura, che nel bene e nel male è più vincolante per entrambe le parti.

 

Quale sostegno può trovare il familiare nel lavoro di cura?
Durante il percorso di cura l’Associazione Malattia Alzheimer Milano mette a disposizione delle famiglie servizi gratuiti sia per aiutarle ad aderire ai cambiamenti che la malattia porta con sé sia a rendere il lavoro di cura sostenibile nel tempo. Per i familiari i servizi di counselling (individuale, familiare e di gruppo) e i gruppi di auto-mutuo aiuto offrono informazioni sulla malattia, orientamento verso i servizi del territorio, comprensione delle dinamiche relazionali, supporto nelle decisioni, consulenza sulla protezione giuridica, su stimolazione cognitiva e attività quotidiane del malato, sostegno emotivo, aiuto nel prevenire e nel ridurre il malessere psicologico, supporto attraverso lo scambio di esperienze e la condivisione di vissuti con altri. I  laboratori di scrittura autobiografica sono uno spazio protetto ove ritagliare un tempo oltre la cura per non dimenticarsi di sé, dedicato ai propri ricordi e alla propria storia di vita. Per il malato accompagnato dal suo caregiver (familiare o assistente familiare), gli Alzheimer Cafè e gli incontri di Arteterapia comprendono attività ricreative adatte alle capacità del malato a cui partecipano insieme per il benessere di entrambi, trascorrendo momenti piacevoli e divertenti, riducendo il rischio di isolamento, con la possibilità di acquisire modi diversi di stare insieme, riproducibili anche a casa, e ottenere anche uno sguardo competente sulla relazione reciproca.

 


Qual’è l’importanza della Giornata Mondiale Alzheimer?
Risponde il Prof. Elio Scarpini 

E' un evento che ricorre ogni anno il 21 settembre e che sottolinea l’importanza globale di questa malattia che colpisce più di 30 milioni di pazienti nel mondo, il 5% dei soggetti oltre i 65 anni.

Com‘è cambiata l’assistenza dei pazienti in epoca pandemica? Prendendo anche spunto dal lavoro che ha pubblicato lo scorso gennaio su Neurological Sciences proprio relativo all’utilizzo della telemedicina come nuovo ausilio per il paziente, a distanza di qualche tempo, com’è percepita questa nuova modalità di supporto? Risponde il Dott. Andrea Arighi 

Il lockdown del marzo 2020 ha stravolto improvvisamente l’attività ambulatoriale, programmata da mesi, del Centro per i Disturbi Cognitivi e le Demenze. L’attività ambulatoriale è stata così spostata quasi completamente nel mondo digitale: ad esclusione delle prime visite, che venivano comunque effettuate in presenza, le visita di controllo per i pazienti con demenza sono state effettuate in telemedicina, permettendo un regolare svolgimento dell’attività programmata. Abbiamo scoperto una nuova modalità di essere medico, paziente e caregiver, che ha visto una straordinaria capacità di adattamento, con risultati estremamente positivi.

Questa esperienza ci ha dato anche la possibilità di associare all’attività clinica anche quella di ricerca applicata: ci siamo chiesti quale fosse l’elemento che rendeva difficile effettuare la visita in telemedicina per i nostri pazienti. Abbiamo analizzato 110 valutazioni ed abbiamo osservato che l’elemento discriminante per una buona riuscita della visita in telemedicina era l’età del caregiver: quando al fianco del paziente vi era un caregiver della stessa generazione del paziente, partner o fratello/sorella, la percentuale di successo era molto più bassa rispetto a quando vi era un caregiver di una generazione successiva, figlio o nipote (49% vs 86%). Questo dato ha implicazioni importanti nella gestione del futuro della telemedicina, sottolineando l’importanza dell’alfabetizzazione digitale.

Attualmente stiamo continuando ad utilizzare la telemedicina, per casi selezionati, con buon successo. In particolare le valutazioni in telemedicina vengono effettuate per commentare risultati di esami prescritti e decidere come proseguire con il percorso diagnostico/terapeutico, oppure per paziente con difficoltà motorie, così da ridurre la frequenza di spostamenti in ospedale.
 

Non solo assistenza ma anche di ricerca di base, quali sono le linee perseguite?
Risponde il Dott. Andrea Arighi

Negli ultimi anni il mio interesse scientifico si è spostato verso un sistema identificato pochi anni fa: il glinfatico. Tra le cellule del nostro organismo esiste uno spazio, chiamato spazio interstiziale, che viene drenato da vasi che nel loro insieme costituiscono il sistema linfatico. Il ruolo principale di questo sistema è il trasporto di proteine, liquidi e lipidi dall'interstizio al sistema circolatorio sanguigno, con anche ruoli di filtraggio e un ruolo importante nell’attivazione della risposta immunitaria.

Fino a qualche anno fa si pensava che il cervello non avesse vasi linfatici. Questa affermazione é stata rivoluzionata nel 2012 quando é stata dimostrata l’esistenza, prima su modelli murini e poi su essere umano, di un sistema, chiamato glinfatico, con la funzione di drenaggio e filtrazione dello spazio interstiziale cerebrale. Questo sistema dinamico é costituito da un flusso di liquidi che attraversa il tessuto cerebrale, partendo dagli spazi attorno alle arterie che penetrano nel cervello, per arrivare allo spazio attorno alle vene ed essere raccolto in veri e propri vasi linfatici che drenano ai linfonodi del collo. Questo flusso permette di spostare liquidi soprattutto metaboliti presenti nel tessuto interstiziale e soprattutto di rimuovere sostanze di scarto, come la proteina amiloide che si deposita nel cervello dei pazienti con malattia di Alzheimer.

La scoperta del sistema glinfatico é stata una vera e propria rivoluzione, che ha permesso di guardare al cervello in un modo nuovo, aprendo nuovi scenari di ricerca.

Negli ultimi anni abbiamo deciso di studiare una proteina, chiamata Acquaporina4, che é una proteina canale che risiede sulla membrana degli astrociti, che circondano i vasi cerebrali, e permette il passaggio di acqua, alla base del flusso di liquidi del sistema glinfatico. Abbiamo dimostrato che questa proteina risulta alterata nei pazienti con malattia di Alzheimer e correla con il grado di neurodegenerazione.

Questo interessante risultato deriva da uno studio preliminare. Attualmente stiamo lavorando per confermare questi dati su una casistica più ampia e per approfondire il comportamento di AQP4 anche con altre metodiche, come la risonanza magnetica e la PET.

In tema di ricerca scientifica, quali sono le linee principali e le novità?
Risponde la Dott.ssa Daniela Galimberti

La ricerca che stiamo portando avanti nei nostri laboratori è di tipo traslazionale: stiamo cioè studiando il contenuto dei fluidi biologici dei pazienti per capire quali molecole e quali meccanismi sono alterati durante lo sviluppo della malattia di Alzheimer e di altre demenze.

Il fine di questo approccio è di identificare dei marcatori biologici che siano d'aiuto nella diagnosi differenziale precoce delle demenze, ma soprattutto dei biomarcatori che predicano la comparsa dei sintomi e dunque permettano un approccio terapeutico quando le cellule del cervello non sono compromesse in modo irreversibile. Questo punto è particolarmente importante dato che è stato dimostrato che le alterazioni del cervello tipiche della AD avvengono già 10-15 anni prima dello sviluppo dei sintomi.

Un candidato promettente in questo senso è una molecola denominata "catena leggera dei neurofilamenti"; è una proteina contenuta nei neuroni che viene liberata quando queste cellule muoiono. I livelli di neurofilamenti sono dosabili nel sangue e riflettono quanto succede nel cervello. Uno studio multicentrico internazionale al quale abbiamo partecipato ha analizzato una casistica di più di 2000 pazienti con diverse demenze, dimostrando che i livelli di neurofilamenti aumentano in concomitanza con lo sviluppo di decadimento cognitivo non solo nella malattia di Alzheimer ma anche in altre demenze, e potrebbero essere dunque utilizzati come screening sulla popolazione anziana per predire il deficit cognitivo ed impostare un trattamento precoce. I risultati di questa analisi sono stati pubblicati su Nature Communications.

La stessa molecola inoltre si è dimostrata molto utile in famiglie di soggetti portatori di mutazioni causali per demenza per predire in anticipo lo sviluppo dei sintomi e includere questi soggetti in sperimentazioni cliniche con farmaci innovativi. Anche quasti risultati sono stati ottenuti grazie alla collaborazione fra esperti a livello internazionale, che ha portato alla pubblicazione dei risultati sulla prestigiosa rivista Neurology.

La ricerca attuale non è solo quella legata agli aspetti di ricerca di base ma anche quella applicata al paziente con tecnologie innovative, quali sono esattamente queste nuove strumentazioni a disposizione?
Risponde il Dott. Giorgio Fumagalli

Negli ultimi anni si sono sviluppati diverse metodiche che permettono di analizzare la struttura e il volume del cervello mediante la risonanza magnetica. Nelle mie ricerche mi sono focalizzato sullo studio dei solchi corticali come misura dell'atrofia cerebrale e quindi come supporto per la diagnosi. Con il nostro gruppo abbiamo utilizzato tecniche computerizzate automatiche ma anche metodiche semplici da applicare in ambulatorio come le scale visive. Seguendo questo approccio abbiamo pubblicato un lavoro in cui è stato possibile distinguere tra la variante classica della malattia di Alzheimer e la variante visiva chiamata atrofia corticale posteriore mentre in una precedente pubblicazione è stato possibile discriminare tra le diverse forme genetiche della Demenza Frontotemporale (una forma più giovanile di demenza che causa disturbi del comportamento). Attualmente stiamo lavorando sulle Afasie primarie progressive, un eterogeneo gruppo di demenze caratterizzate da disturbi del linguaggio.