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21/03 2019
Cultura

Se una notte d'inverno un peccatore

— di Nino Sambataro

C’era una volta, nel Ducato di Milano, un individuo molto crudele, avido e strano.

Durante il dì vendeva stoffe a buon mercato, nel suo negozio nei pressi del Senato

ma poi la sera, dopo la chiusura, prestava ai poveracci soldi a usura.

Si chiamava Mastro Cecco, ma per via della sua fama, da tutti era chiamato Mastro Becco.

Nella sua tetra casa viveva sempre solo, perché gli affetti non si hanno a nolo.

Ma non gliene importava, perché nel letto, invece, teneva molti soldi: e ci dormiva stretto.

Una notte tuttavia, mentre era ancor desto, un diavolaccio si presentò al suo uscio e disse funesto:

"Mastro Cecco, non respingere il mio abbraccio! A breve, tu e io, saremo avvinti assieme: a questo mondo dì pure addio!"

A tanto, Mastro Cecco fuggì per la via, implorando a gran voce l’aiuto degli uomini e del buon Dio.

Ma non una porta e neanche uno scure si apriva al suo passare.

Il male fatto scontava in un solo colpo, mentre scappava randagio come un gatto.

Per la via trovò infine un poverello, al quale ad ogni costo voleva dare ogni suo gioiello.

Ma quello, che non era uno zimbello, capì l’inganno e lo scacciò lontano con un gesto della mano.

Arrivò davanti ad una chiesa, e batteva a tutta forza, ma la gran porta rimaneva chiusa.

Andò persino davanti al magistrato, per confessare ogni suo reato.

Questi gli aprì, chiamò gli sbirri e lo fece anche arrestare,

ma la giustizia civile non cancellava punto il male.

La mattina, infine, fu rilasciato e mesto mesto fece ritorno al suo solito mercato.

Ma un buon monachello saputo tutto il fatto, si presentò al suo uscio il giorno esatto:

"Oggi è il 25 marzo, la Festa del Perdono, ogni peccato può essere mondato:

se sei pentito, non essere angustiato, ma lasciati alle spalle tutto il passato!"

Mastro Cecco, ch’era disperato, baciava i piedi del frate imbarazzato.

"Che devo fare, frate, per fuggire il diavolaccio che ieri notte mi tirava il braccio?

Pur di salvarmi, per l’amor di Dio, sono pronto oggi stesso a donare fino all’ultimo zecchino!"

E così dicendo mise mano al gonfio borsellino.

"Non serve – gli diceva il frate – basta l’intenzione: l’amore di Dio è per tutti,

gratuitamente e senza condizione!"

"Ah!" esclamò Mastro Cecco, molto soddisfatto del buon affare fatto.

Ma il fraticello, che gli leggeva dentro, gli sfilò di mano il grosso astuccio:

"Tuttavia, per essere proprio certi, rimetti i loro debiti ai poveretti.

Così se il diavolaccio dovesse ritornare, non avrebbe più peccati da intascare!"

 

La Festa del Perdono, una tradizione che si rinnova da 6 secoli

La Festa del Perdono è stata istituita nel 1459 da Papa Pio II per incentivare la beneficenza nei confronti dell’Ospedale. Con la bolla “Virgini gloriosae” il Papa concedeva l’indulgenza plenaria a tutti coloro che effettuavano una donazione alla Ca’ Granda, e questa tradizione si è mantenuta da allora fino ai giorni nostri ogni anno dispari. La Festa del Perdono ha sempre suscitato un forte coinvolgimento popolare: sia all’interno dei cortili ospedalieri che sulla piazza esterna veniva organizzata una vera e propria fiera di paese, con bancarelle e addobbi; i ritratti dei benefattori più illustri venivano esposti sotto i portici della Ca’ Granda per incentivare le donazioni da parte dei cittadini che accorrevano numerosi per i festeggiamenti.

Oggi la Festa del Perdono rivive con lo stesso spirito del passato, coinvolgendo direttamente i cittadini e aprendo le porte di un luogo senz’altro speciale perché, oltre ad essere un eccellente luogo di cura e di ricerca, è custode, con il suo meraviglioso patrimonio storico ed artistico, della storia di Milano. 

Anteprima tratta da "Blister 06", il magazine del Policlinico per curare l'attesa