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07/09 2018
Attualità

Al Policlinico non c'è il tie-break. Intervista a Fabio Agrò

— di Monica Cremonesi

Nel tennis il tie-break è stato introdotto per evitare match ad oltranza e nei grandi tornei come il Roland Garros e Wimbledon non c’è: quindi al quinto set vince chi riesce ad allungare, a dare il distacco. E' abituato a questo Fabio Agrò, direttore amministrativo della Fondazione Ca' Granda Policlinico di Milano, che vanta un passato da giocatore classificato. Una palestra di vita anche per far parte della Direzione Strategica di un’organizzazione con circa 4.000 dipendenti e un bilancio di oltre 400 milioni.


Quindi, direttore, nel suo curriculum troviamo un passato da tennista?
Si, d’attacco serve and volley. Ho giocato in vari campionati ma quello che mi divertiva di più era il circuito regionale; giocare a Cefalù, Taormina e Gangi era un vero piacere e lo sport mi consentiva di vedere il meglio della mia Sicilia. Ho iniziato da studente, poi ho continuato, compatibilmente con gli impegni. Ora sarebbe impossibile perché le mie giornate di lavoro non me lo permettono. Non sono neanche più un tennista della domenica.


Già perché lei, siciliano di origine, ha la residenza in Valtellina e con l‘incarico al Policlinico è entrato far parte della lunga schiera dei pendolari. Giornata tipo?
Sveglia alle 4.30 e poi il viaggio per essere in ufficio in via Francesco Sforza alle 8.00. Qualche notte la passo a Milano, ma rientro spesso casa perché Sara, mia figlia di 7 anni, con cui ho un forte legame, mi reclama.


Torniamo al tennis e proviamo con il gioco della torre: Nadal o Federer? McEnroe o Borg?
Feder per l’umanità e McEnroe per il genio. Non mi piacciono le persone costruite, maniacali e senza umanità. Un aspetto che prediligo anche al lavoro è l’autenticità, elemento fondamentale per fare squadra.


Ecco, la squadra. Lei dirige un team di professionisti che si occupa della programmazione, delle risorse tecniche, economiche e umane; un team che lavora sempre dietro le quinte, non va sulla stampa, non incontra i pazienti ma è una presenza qualificata, indispensabile per la macchina organizzativa. Tre aggettivi per descriverla.

Ho trovato una dirigenza competente, professionale e soprattutto onesta intellettualmente, insomma quelle caratteristiche che ti consentono di dormire tranquillo, perché sei sicuro che nessuno ti girerà le spalle e che ogni decisione verrà portata avanti, una volta condivisa. Non è un approccio al lavoro scontato. E' un clima che si respira anche nelle riunioni coi direttori: generale, sanitario, scientifico e con il presidente.

In “Open”, biografia del grande tennista Andre Agassi, il protagonista ripete più volte il mantra del suo coach “don’t think, feel”.

Diciamo che ha ragione Agassi: è vincente usare l’intuito. Il tennis ti insegna a prendere decisioni rapide, sei solo e a volte il tecnicismo non basta. Anche quando lavori in team devi prendere decisioni velocemente, a volte difficilissime: allora affini l’arte dell’ascolto e della delega. Anche qui ci vuole “feeling”.

Lei ha una solida esperienza: dopo la laurea in Giurisprudenza ha ricoperto diversi incarichi nel mondo della sanità. Una sorpresa il Policlinico?
E' un ospedale unico. Qui il direttore amministrativo ha dei compiti speciali che altri colleghi non possono vantare, per via anche del ricco patrimonio culturale e immobiliare.Un esempio sono le tante cascine di cui la Direzione Strategica ha la responsabilità giuridica. A volte mi sento un immobiliarista.


Lei è al Policlinico da circa 3 anni. Un bilancio?
Abbiamo rivisto diverse regole di funzionamento strategiche, come per esempio i nuovi incarichi dirigenziali, per medici ma non solo, o il nuovo sistema di incentivazione in un’ottica meritocratica o ancora, per citare un esempio che è sotto gli occhi di tutti, direi anche la sfida al parcheggio selvaggio con l’obiettivo di aiutare le fasce più deboli dei pazienti e dei disabili. Non dimentico poi l’attività dei lavori per il Nuovo Ospedale che sorgerà prossimamente e dei tanti cantieri aperti per la continua messa a nuovo dei vecchi padiglioni.


Nell'attività prevale più l'esigenza alla trasparenza o alla normativa?
Il rispetto della norma è una guida per noi funzionari della “cosa pubblica”, ma sono convinto che se ti nascondi dietro la norma fai il burocrate. La norma è il riferimento, e noi dobbiamo avere la capacità e a volte il coraggio di interpretarla e adeguarla al contesto.

Ma per essere un buon amministratore della “cosa pubblica” bastano esperienza e professionalità o ci vuole qualcos’altro?
Ci vuole l’etica. Da questo punto di vista ho avuto il grande privilegio di conoscere Leonardo Sciascia, un caro amico di mio padre e del quale ho letto tutta la bibliografia. Nella sua opera ho trovato un forte senso dell’etica e una visione lucida, alle volte spietata dello Stato, in Sicilia ma non solo.

Facciamo un balzo geografico. Cosa apprezza di Milano?
I tesori nascosti della città e in particolare della Ca’ Granda. Faccio il turista dei beni che gestiamo!

Hobby?
Amo la fotografia subacquea: la scorsa estate ho visto una colonia di conchiglie abitate dai loro molluschi che si muovevano e danzavano davanti al mio obiettivo. Uno spettacolo.


Allora, domenica scende in campo?
No, vado in bicicletta, uno sport adatto alla mia Valtellina.

Game, set and match.

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