Milano --> Roma --> New York. Intervista a Silvano Bosari
— di Monica Cremonesi
Ecco la rotta aerea di Silvano Bosari, direttore scientifico del Policlinico di Milano. Una rotta internazionale come il mondo della scienza in cui lavora e come la lingua che parlano in famiglia. Senza dimenticare un certo aplomb milanese.
Silvano Bosari ha visto la sua vita trasformarsi: da medico anatomopatologo a direttore scientifico di un ospedale in grande evoluzione. Conosciamolo meglio partendo dalla sua vita personale. Dove e quanto ha viaggiato nell’ultimo anno?
Da quando ho l’incarico di direttore scientifico non viaggio più tanto, salvo andare a Roma al Ministero della Salute. E devo dire che mi capita non di rado perché il Ministero fortunatamente ci chiama spesso, e ci supporta su tanti progetti. Ogni tanto scappo per qualche breve viaggio: sono appena tornato da Parigi ma con urgenza, per la riunione del Comitato Scientifico dell’Istituto Nazionale di Genetica Molecolare, che è ospitato in Policlinico.
In famiglia non dicono nulla?
Effettivamente non vedo le mie figlie spesso: la maggiore lavora a New York dove studia anche la più piccola e appena possibile le raggiungo; in un colpo solo le vedo entrambe.
Studi e formazione internazionale, come il papà...
Si, ho avuto la fortuna di studiare ad Harvard e poi di lavorare all'Università Yale. Posti assolutamente all'avanguardia nel panorama biomedico mondiale.
Quindi andare negli States è un po' come tornare a casa
Si, ho passato 8 anni in America. E' stata un'opportunità per la mia vita professionale ma anche personale, perché mi sono sposato con Mary, americana dell’Ohio.
Festeggia sant’Ambrogio o il Thanksgiving day?
Tutti e due. Al tacchino non si può rinunciare ma neanche al panettone, da buon milanese.
Pensa in Italiano o in inglese?
Se lavoro in inglese penso in inglese, se lavoro in italiano penso in italiano. A casa però non ho scelta, ahimè, parliamo in inglese!
Cosa fa quando non lavora?
Leggo molto e ascolto musica.
Mi dicono che la suoneria del suo cellulare è Jump dei Van Halen
Confermo, amo la musica rock, ma ho scaricato Spotify e ora sento tutta la musica del mondo.
L’ultimo libro che ha letto?
"A history of United States in 5 crushes", un’analisi delle principali crisi economiche americane. Studiare la storia per trarre conclusioni per il presente è sempre un buon metodo.
Da 3 anni è direttore scientifico del Policlinico, cioè del 1° Istituto di Ricerca e Cura pubblico in Italia per qualità e quantità della ricerca scientifica. Quali altre sfide?
Questo bollino dà evidenza della qualità della ricerca clinica, un riconoscimento di IRCCS che il Policlinico ha dal 1981 grazie anche alla componente di professori universitari che arricchisce il panorama scientifico. Lo sforzo che stiamo facendo ora è aggiungere anche la ricerca di base per essere ancora più competitivi a livello internazionale.
La costringo a una scelta, ci racconta una ricerca che ha visto il Policlinico protagonista?
Ce ne sono diverse e di qualità. Mi viene in mente quella sull’emofilia del team di Flora Peyvandi che negli ultimi anni ha fatto delle scoperte importanti e dato un rilevante contributo alla letteratura scientifica. Storia affascinante quella dell’emofilia: in questo Ospedale si sono viste tutte le tappe, dalla diagnosi alla terapia con approcci sempre più innovativi e ora cerchiamo di raggiungere l’ultimo obiettivo con la terapia genica.
A proposito di futuro, nel 2022 aprirà il Nuovo Policlinico, una nuova struttura innovativa e funzionale per il paziente e per la città: vediamo già i cantieri al lavoro. E la ricerca?
Siamo già al lavoro anche su questo fronte e contiamo di finire entro la fine dell’anno: in via Pace sorgerà un campus biomedico con 1.400 metri quadrati di laboratori integrati nuovi, organizzati e in sinergia tra loro.
Negli spazi ci mettiamo i nostri ricercatori, la risorsa più preziosa. Cosa li trattiene in Italia quando la precarietà e gli interessi per la ricerca sono altrove? A gennaio era in tv coi colleghi degli IRCCS per favorire la stabilizzazione dei nostri ricercatori. Qual è la situazione?
Mi sento ottimista perché dopo anni è stato finalmente riconosciuto per legge il ruolo di ricercatore negli Istituti di Ricerca e quest’anno potremmo assumere i nostri scienziati. Il condizionale è doveroso ma la legge ha una sua dotazione economica e ciò mi rende ottimista. C’è da dire che la precarietà è insita nel ruolo di ricercatore: se sei bravo e la tua ricerca porta risultati, i finanziamenti li trovi.
Il talento in scienza si misura non solo con la scoperta ma anche con la capacità di metterla a disposizione del paziente. Cosa ne pensa?
Se parla di brevetti dico che il tema è estremamente importante anche se ancora poco considerato in Italia. Dalle attività biomediche si scoprono nuove molecole, nuove metodiche piuttosto che dispositivi per essere utilizzati dai pazienti; per fare questo è necessario che ci sia una partnership con il mercato. Al Policlinico attualmente abbiamo oltre 50 brevetti in commercio e una spin-off.
Questo è il nostro futuro.
Perché dovrei dare il 5x1000 al Policlinico?
Perché siamo i migliori.
Why not?