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07/01 2018
Attualità

Ore 6.30. "I bimbi avranno già fatto colazione?". Intervista a Simona Giroldi

— di Monica Cremonesi

E' il più giovane direttore di un ospedale pubblico della Lombardia. E se si aggiunge che è donna, forse lo è anche a livello nazionale. A tu per tu con Simona Giroldi, direttore generale del Policlinico

E’ mamma di tre "gnomi" e direttore generale del 1° Istituto Pubblico di cura d’Italia. E' stata determinante per far ripartire i cantieri del Nuovo Policlinico e ne sta rivoluzionando le regole organizzative. Va a dormire programmando l’agenda del giorno dopo, ma al risveglio il primo pensiero sono i figli. La vita di tutti i giorni di un direttore che si riassume così: "Lo sport mi ha insegnato che si gioca per vincere". L’ultima cosa che Simona Giroldi fa prima di andare a dormire è programmare l’agenda di lavoro. "Mi è indispensabile per gestire i tanti impegni e anche gli imprevisti; certamente anche per conciliare la vita famigliare". Ha 3 figli, o "gnomi" come li chiama lei: Ludovica, Ginevra e Leonardo (12, 10 e 9 anni). Il primo pensiero al mattino è assicurarsi che abbiano fatto tutti colazione, in tempo per il bus delle 7.15. "Loro hanno capito che sono un direttore, ma si chiedono perché sono un dottore anche se non sono un medico. Dopodiché gli è chiaro che ho a che fare coi numeri. Porto spesso a casa aneddoti per far capire il bello del mio lavoro. L’altro giorno Ludovica mi ha detto che vuole fare il chirurgo".

Cosa fa quando non lavora?
Faccio la mamma. Da sola ozio. E guardo programmi televisivi in cui si costruiscono case.

Infatti si racconta di un suo sopralluogo ai cantieri del vecchio Padiglione Guardia e di come ha cambiato il progetto. Passo per passo ha misurato gli spazi e, planimetria alla mano, ha deciso di modificare il progetto.

Sì, è stato naturale riadattare il progetto sfruttando tanto spazio che altrimenti andava perso. Quindi ho deciso di ampliare l’area trasferendo  il Centro Prelievi e  gli sportelli di prenotazione proprio all’ingresso di via Sforza, dove arriverà la nuova Metropolitana.

Regione Lombardia e il Consiglio di Amministrazione le hanno affidato un compito importante: riavviare i lavori da tempo sospesi del Nuovo Policlinico e di rilanciarne l’organizzazione. Quanto è difficile?

Soprattutto sono scelte di lungo periodo. Insieme al Presidente, ai Direttori Sanitario, Amministrativo e Scientifico stiamo facendo tanto per realizzare molti progetti, come se dovessimo stare qui tutta una vita. Forse non taglieremo noi i nastri delle inaugurazioni, ma vogliamo adottare solo politiche di qualità. Non solo i cantieri che tutti vedono, mi riferisco anche alle politiche di funzionamento di una grande organizzazione che conta 4.000 dipendenti. Regole strutturali che i pazienti non vedono ma che sono alla base dell’efficienza. Poi stiamo ampliando la nostra offerta: basti pensare alla nuova équipe delle malattie infettive che completerà i percorsi di diagnosi e cura, ma anche ai nuovi primari che arricchiscono la squadra.

Se non avesse fatto il Direttore...

Non pensavo di fare il Direttore, ma ho sempre avuto ambizioni. Ho vissuto in una famiglia che mi ha educata a fare tutto sempre al meglio delle mie possibilità, senza accontentarsi mai, nel rispetto anche degli altri. Non sarei mai venuta a 18 anni a Milano da La Spezia. Era più comoda Parma, dove avevo anche nonni e parenti, ma ho scelto la Bocconi. Comunque, per rispondere alla domanda, diciamo che avrei lavorato nel capo immobiliare (ride). Pitturo anche casa da sola.

Sono passati quasi 2 anni. Ricorda cosa ha fatto il primo giorno qui in Francesco Sforza?

(ride). Mi sono fatta il segno della croce. Ma ho in mente cosa farò l’ultimo giorno: una festa per tutti, come è mia tradizione. Così ho fatto al Niguarda e poi all’Ospedale di Parma. Vorrei essere ricordata per aver voluto bene a questo Policlinico.


Tra amici quali sono i successi che racconta?

Quelli sportivi. Sono arrivata a giocare in serie B a pallacanestro. Porto ancora i segni del mio agonismo: 32 punti alla gamba sinistra. Una cicatrice che mostro con molta soddisfazione, come fanno sempre i veri sportivi. Avevo un grande coach che sapeva fare squadra, e che mi ha insegnato che se si vuole si può vincere.
E poi certo i miei 3 figli nati in 3 anni. Con una mamma disabile per un aneurisma, che l'ha colpita quando ero incinta di 6 mesi della mia prima figlia, e con un papà con altrettante difficoltà. Un ricordo delle mie estati? Tre bimbi, due genitori disabili, una baby sitter, due badanti, io e mio marito. Da allora ho capito che niente mi fa paura. Io la vita in ospedale la conosco: per questo rispetto chi ci entra ogni giorno, per bisogno e per lavoro.

Chi fa la spesa a casa sua?
Io, personalmente.

E non la fa online.

 

Articolo tratto dal magazine Blister, storie dal Policlinico per curare l'attesa

 

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