Test di screening primo trimestre di gravidanza



Attraverso test di screening è possibile individuare nel primo trimestre di gravidanza possibili anomalie fetali e disturbi ipertensivi materni.

Un test di screening fornisce una stima della probabilità che sia presente una determinata patologia, identificando un gruppo di soggetti a maggior rischio, ai quali riservare ulteriori approfondimenti diagnostici. Per definizione, un test di screening si associa sempre con una percentuale di falsi positivi, ovvero casi in cui gli approfondimenti diagnostici successivi all’indicazione di rischio escludono la presenza della patologia.
 

Si può avere la certezza sulla presenza di anomalie cromosomiche fetali?

L’unico modo per avere una diagnosi certa di anomalie dell’assetto cromosomico del feto consiste nel sottoporsi ad un esame invasivo di diagnosi prenatale, come la villocentesi o la amniocentesi. Tuttavia, questi esami possono associarsi, in circa lo 0.2% dei casi, alla perdita della gravidanza. Pertanto, si cerca di riservare gli esami invasivi solo alle gestanti che risultano a rischio dopo un test di screening.

Si può avere la certezza sulla presenza di malformazioni degli organi fetali?

L’ecografia ostetrica è lo strumento più efficace per valutare l’anatomia del feto ed escludere o diagnosticare malformazioni gravi degli organi fetali, alcune visibili già a partire dal primo trimestre di gravidanza. È però importante ricordare che l’ecografia, a prescindere la periodo di gravidanza in cui viene eseguita, non è in grado di escludere la totalità dei difetti congeniti.

 


Test combinato

Cos’è il test combinato?

Il test combinato è un esame di screening fortemente raccomandato a tutte le donne in gravidanza, sia singola che gemellare, per valutare la probabilità che il feto possa essere affetto da un’anomalia cromosomica tra quelle note e più frequenti. Inoltre, il test permette di avere informazioni sulla presenza o meno di alcune malformazioni gravi degli organi del feto e sulla possibilità che, nel corso della gravidanza, la gestante possa sviluppare disturbi ipertensivi.

Perchè si chiama test combinato?

Il test combinato comprende un’ecografia ed un prelievo ematico materno. I dati vengono poi combinati per produrre un unico risultato, espresso come probabilità per lo sviluppo delle patologie indagate. Da qui la denominazione del test.

Quando si esegue il test combinato?

Il test combinato deve essere eseguito tra le 11 e le 13 settimane di gestazione, quando la lunghezza del feto (CRL) è compresa tra 45 e 84 mm. Prima e dopo questo periodo, i parametri ecografici e biochimici non sono utilizzabili dal punto di vista clinico.

In cosa consiste l’ecografia del test combinato?

L’ecografia eseguita nell’ambito del test combinato prevede la misurazione di vari parametri, tra cui la translucenza nucale, ovvero uno spazio liquido che è possibile visualizzare in tutte le gravidanze a livello del collo fetale. Nella maggior parte dei casi con anomalie cromosomiche fetali, questo spazio risulta aumentato di spessore, mentre nella maggior parte dei feti non affetti la misurazione rientra negli intervalli di riferimento. Nel corso dell’ecografia viene fatta anche una valutazione preliminare dell’anatomia fetale, per quanto visibile in questo periodo di gravidanza, e viene misurato il flusso di sangue attraverso le arterie uterine materne per la stima del rischio di preeclampsia.

In cosa consiste la parte biochimica del test combinato?

Contestualmente all’ecografia o alcuni giorni prima, viene eseguito un prelievo di sangue materno per il dosaggio di due ormoni prodotti dalla placenta, ovvero la beta-hCG e la PAPP-A, che risultano alterati in una buona percentuale di gravidanze con anomalie dei cromosomi fetali o più predisposte allo sviluppo di disturbi ipertensivi materni. L’aggiunta di un terzo ormone, chiamato PLGF, permette di essere più accurati sulla stima della probabilità per lo sviluppo successivo di preeclampsia, ma il suo dosaggio non viene eseguito in tutti i Centri di screening prenatale.

Come vengono espressi i risultati del test combinato?

I parametri ecografici e biochimici, oltre a quelli relativi alla storia clinica materna, vengono inseriti in un software validato a livello internazionale ed utilizzabile solo da operatori ecografici certificati. Il software calcola la probabilità che il feto sia affetto da Trisomia 21 (Sindrome di Down), Trisomia 18 (Sindrome di Edwards) e Trisomia 13 (Sindrome di Patau). Queste tre sono, in ordine decrescente, le anomalie cromosomiche più frequentemente diagnosticate in epoca prenatale. Inoltre, il sofwtare può calcolare il rischio di preeclampsia pretermine (prima della 37a settimana di gestazione).

Cosa viene consigliato in base ai risultati del test combinato?

Nei casi ad alto rischio per Trisomia 21, 18 o 13, viene generalmente consigliata l’esecuzione di un esame diagnostico invasivo (villocentesi o amniocentesi), se la gestante desidera avere il massimo delle informazioni sulla salute del feto. Nei casi a rischio molto basso, non vengono ritenuti necessari ulteriori approfondimenti. Nelle gravidanze che rientrano in una fascia di rischio cosiddetto intermedio, è utile ricorrere al test del DNA fetale (anche conosciuto come NIPT) come screening di seconda linea (vedi sotto). Nelle donne a maggior rischio per lo sviluppo di preeclampsia pretermine è raccomandata la somministrazione di Aspirina al dosaggio di 150 mg al giorno, che si è dimostrata efficace nel prevenire lo sviluppo della patologia in più del 60% dei casi. Infine, a prescindere dall’assetto cromosomico, i feti con translucenza nucale molto alta (>3.5 mm) sono più a rischio per la presenza di anomalie congenite ed in questi casi sono raccomandati controlli ecografici aggiuntivi rispetto a quelli di routine, eseguibili in Centri di riferimento di Diagnosi Prenatale da parte di operatori esperti.

Qual è l’accuratezza del test combinato?

Il test combinato permette di identificare almeno il 90% dei feti affetti da trisomia 21, 18 o 13. La percentuale di falsi positivi è di circa il 5%. Inoltre, il test combinato identifica circa il 75% delle gestanti che svilupperanno la preeclampsia prima delle 37 settimane, con una percentule di falsi positivi di circa il 10%.

 

 


DNA fetale

Cos’ è il test del DNA fetale?

Il test del DNA fetale (o NIPT) è un altro test di screening per anomalie cromosomiche fetali. Consiste in un prelievo di sangue materno, che può essere eseguito in qualsiasi momento durante la gravidanza a partire dalle 10-11 settimane di gestazione. Come il test combinato, il test del DNA fetale esprime la probabilità che il feto sia affetto da una delle anomalie cromosomiche indagate. Il test è in grado di identificare circa il 99% dei feti affetti da Trisomia 21 e circa il 95% di quelli con Trisomia 18 e 13. La percentuale di falsi positivi è di circa lo 0.3%. Nell’1% dei casi, il test non dà alcun risultato, nemmeno dopo ripetizione del prelievo ematico a distanza di tempo.

Quando è consigliabile eseguire il test del DNA fetale?

Sulla base delle evidenze scientifiche disponibili, la strategia di screening che permette di avere il massimo di informazioni cliniche sulla salute fetale e materna prevede, in prima battuta, l’esecuzione del test combinato in tutte le donne in gravidanza a 11-13 settimane di gestazione. Nei casi con rischio molto alto, così come in quelli con translucenza nucale elevata e/o con anomalie ecografiche significative, non viene consigliata l’esecuzione del test del DNA fetale, bensì l’esecuzione di una villocentesi o un’amniocentesi, sempre che la gestante desideri ricevere più informazioni possibili su eventuali patologie cromosomiche e genetiche fetali, alcune delle quali non sono indagabili con i test di screening attualmente a disposizione. Il test del DNA fetale viene consigliato nei casi che rientrano nella fascia di rischio intermedio dopo il test combinato, in modo da poter riassegnare la gravidanza ad una classe di rischio molto basso o molto alto per Trisomia 21, 18 e 13. Nei casi con rischio molto basso al test combinato, l’esecuzione del test del DNA fetale non è da considerarsi una raccomandazione ma viene lasciata alla decisione della gestante, in base alla sua personale necessità di ulteriori rassicurazioni.

Quali patologie è possibile indagare mediante il test del DNA fetale?

Il test del DNA fetale è stato validato e ben documentato a livello scientifico, sia nelle gravidanze singole che in quelle gemellari, per le stesse anomalie indagate dal test combinato, ovvero le Trisomie 21, 18 e 13 (test base). Alcuni laboratori offrono la possibilità di estendere l’analisi anche ad altri cromosomi fetali e, in alcuni casi, allo studio di malattie genetiche molto rare. Tuttavia, i dati attualmente disponibili sull’affidabilità del test esteso ad altre patologie non sono sufficienti per raccomandarne l’utilizzo clinico di routine. Pertanto, le raccomandazioni delle società scientifiche di settore non consigliano di eseguire il test del DNA fetale per lo screening di anomalie diverse dalle comuni trisomie. Il test non dà alcuna informazioni riguardo la presenza o meno di malformazioni gravi, identificabili solo mediante ecografia, e sulla probabilità che la gravidanza venga complicata dall’insorgenza di preeclampsia.

Quanto costa il test del DNA fetale?

Nella maggior parte dei laboratori, il test base è a pagamento. In Regione Lombardia, il percorso di screening prenatale prevede l’offerta gratuita del test del DNA fetale per tutte le gestanti residenti con un risultato di rischio intermedio dopo l’esecuzione del test combinato.


Ipertensione materna

Come si può avere la certezza sullo sviluppo di disturbi ipertensivi materni?

Una delle patologie ipertensive più frequenti in gravidanza (2-3% del totale) è la pre-eclampsia (anche nota come gestosi), che consiste nello sviluppo di ipertensione materna, associata con alterazione tipiche degli esami ematici ed urinari, a partire dalle 20 settimane di gestazione. La cura della preeclampsia prevede la somministrazione di farmaci anti-ipertensivi ed un attento monitoraggio delle condizioni cliniche materne e fetali. Tuttavia, l’unica terapia definitiva è rappresentata dall’espletamento del parto. Per questo motivo, è di fondamentale importanza identificare il prima possibile le gestanti più predisposte allo sviluppo successivo della patologia in modo da mettere in atto le migliori strategie preventive atte ad evitare la sua manifestazione clinica.



Aggiornato alle 15:03 del 14/12/2023