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14/02 2022
Salute

Emofilia e sangue reale

— di Francesca Granata, ricercatrice

Il detto dice “dietro a un grande uomo c’è sempre una grande donna”, ma in alcuni casi la frase si può invertire. Infatti dietro alla regina Vittoria d’Inghilterra c’era un grande uomo: il principe Alberto di Sassonia. I due diedero origine a una nuova tipologia di famiglia reale, giovane, moderna e impegnata, all’interno della quale entrambi avevano pari potere. Ebbero nove figli e fu con l’ultimo dei quattro maschi, il principe Leopold, che entrarono a far parte non solo della Storia moderna, ma anche della storia della Medicina.

 

Leopold, nato nel 1853, morì a trent’anni a causa dell’emofilia di tipo B, una malattia genetica rara legata a mutazioni che colpiscono un gene sul cromosoma sessuale X: per questo si manifesta tipicamente nei maschi. Il difetto comporta una mancanza del fattore IX, una componente del sangue essenziale per la sua coagulazione. Infatti già dalla tenera età Leopold mostrava lividi e gonfiori articolari tipici della malattia, e morì per un’emorragia in seguito a una banale caduta, dopo aver sopportato una vita piena di sofferenze fisiche. La regina Vittoria scrisse in uno dei suoi 141 diari: “Nella nostra famiglia non c’è mai stato questo male”.

Come è possibile che una malattia così devastante sia rimasta nascosta nel DNA della famiglia reale e non colpì gli altri figli maschi, né alcuna delle figlie femmine? Per capirlo serve qualche piccola nozione di genetica.
 

Uomini e donne, si sa, sono differenti in molti aspetti, proprio come lo erano Vittoria e Alberto: lei più autoritaria e impulsiva, lui più riflessivo e introverso. Caratteri che si compensarono nell’arco della loro unione portando a grandi risultati, come alla progettazione e alla realizzazione della prima Esposizione Universale nel 1851, che comunemente oggi chiamiamo Expo. Ma non solo i caratteri di uomo e donna si equilibrano, lo fanno anche i nostri cromosomi legati al sesso, XX o XY. Nelle donne (XX) sono rappresentati da due X, una ereditata dalla mamma e una dal papà; un figlio maschio (XY) invece eredita sempre una Y dal papà e poi una sola X, ereditata sempre dalla mamma. La regina Vittoria, in quanto donna, ereditò due cromosomi X: uno dal papà, sano, e uno dalla sua mamma, contenente però il difetto alla base dell'emofilia. I due cromosomi si compensavano tra loro, per questo la regina non era malata; ma ogni volta che aveva figli rischiava di trasmettere un cromosoma X difettoso. Nei maschi, che hanno un solo cromosoma X ereditato sempre dalla madre, la malattia si poteva quindi manifestare in un caso su due.

E infatti la regina trasmise il cromosoma dell'emofilia, oltre che a Leopold, anche a due eredi femmine, Alice e Beatrice, che come la mamma risultarono portatrici sane. Solo con la nascita di tre nipoti maschi l’incubo della malattia riemerse: in particolare con Frederick, figlio di Alice, che morì in seguito a un incidente domestico all’età di soli tre anni.

Anche Vittoria rimase sola, dopo la morte prematura del marito Alberto nel 1861. Gli anni successivi per lei e per il Regno inglese furono cupi: trapelarono una serie di aspetti caratteriali della regina molto spigolosi, che esistevano già prima dell’unione con Alberto ma che lui aveva saputo compensare con il suo carattere più quieto. Fu circa nove anni dopo, alla fine del 1870, che Vittoria finalmente si ristabilì imparando a gestire il proprio dolore attraverso un nuovo equilibrio. Fatto di amicizie, come quelle del suo consigliere John Brown e alcune dame di corte, ma soprattutto attraverso l’enorme impegno che mise nel risolvere i problemi diplomatici e politici inglesi.  Ma questa è un'altra storia.

 

Curare l'emofilia A al Policlinico di Milano

Anche per l’emofilia oggi è possibile ottenere una compensazione verso la normalità attraverso terapie innovative, come quelle in sperimentazione dal 2019 nella Medicina Generale - Emostasi e Trombosi del Policlinico diretta da Flora Peyvandi. Una singola infusione di questa terapia può consentire a un paziente con emofilia grave di avere per anni dei livelli normali del fattore VIII, consentendogli di vivere una vita praticamente normale. Questo tipo di cure sono un esempio di come possa essere straordinaria l'evoluzione della Medicina, che oggi più che mai è in grado di trattare una malattia che, un secolo e mezzo fa, ha spezzato tante famiglie, non solo nobili.