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22/05 2018
Cultura Salute

Litri di caffè

— di Massimo C., ricercatore

Mi tengo a fatica alla maniglia della metropolitana che corre e ci sballotta tutti. Il vicino mi schiaccia un piede, si scusa, succede, soprattutto nell’ora di punta. Spero che a Duomo molti scendano, così posso riprendere a respirare. Poi alzo la testa e leggo: dona il tuo 5 x 1000 alla ricerca!

Già, la ricerca. Io sono un ricercatore, quindi la cosa mi dovrebbe interessare. Per la verità, questi cartelli sulla ricerca me li ricordo sin da quando ero un bambino. Mi ricordo esattamente di quella volta in cui chiesi a mia mamma “Ma che cos’è questa ricerca?”. Mi disse che era una cosa che serviva a studiare le malattie. Pensai che doveva essere una cosa triste. Per me allora, studiare era già abbastanza triste, studiare le malattie poi...E oggi, dopo che ho preso una laurea in Medicina e sono stato due anni negli Stati Uniti a fare il ricercatore, che cosa penso della ricerca? Penso che è una cosa complessa. Che richiede tante, tantissime ore di lavoro. E altrettante quantità di caffè, soprattutto la notte prima della consegna di un articolo: poche pagine per condensare anni di studi, e renderli accessibili alla comunità scientifica internazionale.

Penso alla ricerca come a una cosa difficile. Perché non si vive di sola scienza. Non posso starmene tutto il giorno chiuso nel mio laboratorio o davanti al computer. Nel frattempo devo anche fare il medico che cura, devo vedere i pazienti, sottoporli agli esami clinici. E poi devo anche andare a prendere le bambine a scuola…

E sono sempre in ritardo, come ora.

Però non penso più che sia una cosa triste, questo no. Perché è bella, anche se studia le malattie che invece tanto belle non sono. È bella proprio perché è complessa. Una sfida, come amano dire alcuni. Ed è bella perché alla fine ripaga quasi sempre la fatica. E magari oltre a studiarle, le malattie riesce anche a curarle.

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