notizia
25/02 2013
Cultura

In mostra al Policlinico la storia dei sanatori in Valtellina

— di Redazione

Da lunedì 25 febbraio a venerdì 15 marzo sarà aperta al pubblico in Policlinico una mostra sulla storia dei sanatori in Valtellina. Ingresso libero da lunedì a giovedì, dalle 9.00 alle 17.00, il venerdì dalle 9.00 alle 13.00, presso la Biblioteca del Polo Scientifico

A partire dalla seconda metà dell’Ottocento e fino all’avvento dell’antibioticoterapia nel secondo dopoguerra del secolo scorso, il ricovero in sanatorio ha rappresentato l’unica reale speranza di guarigione per i malati di tubercolosi. Il riposo assoluto, la salubrità del clima e un’alimentazione adeguata, rinforzando l’organismo dei pazienti, consentivano un efficace contrasto allo sviluppo dell’infezione.

Dopo le esperienze europee del secondo Ottocento, i primi sanatori italiani sorsero in Valtellina al principio del XX secolo e si diffusero presto in tutto Paese grazie alle molte iniziative filantropiche  e, soprattutto, grazie all’azione pubblica dell’INPS che costruì una vera e propria rete nazionale di sanatori provinciali.

Il Villaggio Sanatoriale, oggi Ospedale “E. Morelli” di Sondalo (So) fu l’episodio culminate di questa azione statale e fu il più grande istituto per la cura della tubercolosi costruito in Europa.

A volere la sua costruzione in quella particolare zona montana, sulle pendici del Monte Sortenna, situata a metà strada tra Tirano e Bormio a circa 1.000 metri di altitudine, fu il medico pneumologo Eugenio Morelli, valtellinese di nascita, che nel 1928 fece eseguire un’analisi sulle condizioni meteorologiche dell’area dalla quale risultò che il paese di Sondalo era il luogo ideale per realizzare un sanatorio.

La costruzione del complesso iniziò nel 1932  e procedette a ritmo elevatissimo, tanto che in soli 6 anni vennero eretti 9 padiglioni in grado di ospitare sino a 300 malati ciascuno. I lavori vennero ultimati solo alla fina della Seconda Guerra Mondiale, quando il complesso venne dotato di arredi ed attrezzature: durante il conflitto il sanatorio, ancora chiuso ai pazienti, si rese comunque partecipe delle vicende belliche ospitando, in gran segreto, diverse prestigiose opere d’arte provenienti da musei e collezioni private, tra cui alcune tele di Rubens, Tintoretto e Segantini. La struttura del sanatorio venne realizzata come un vero e proprio “villaggio” (ancora oggi questo è il termine con cui i Valtellinesi chiamano l’Ospedale), autonomo e autosufficiente grazie alla presenza di un impianto di  teleferiche, viadotti, una centrale termica e anche una chiesa. I padiglioni erano immersi in una vegetazione boschiva di conifere e larici, e i collegamenti tra un edificio e l’altro erano realizzati tramite dei sentieri ben curati, attrezzati con panchine per la sosta e parapetti.
Il sanatorio rimase attivo fino al 1973 per poi essere trasformato nell’attuale presidio ospedaliero facente parte dell’AO Valtellina e Valchiavenna.

La mostra

Il recente incremento delle notifiche di tubercolosi nel nostro paese e la diffusione di forme antibiotico-resistenti ha costituito lo spunto per la realizzazione di una mostra che portasse a riflettere sull’evoluzione storica del trattamento di questa patologia in età pre-antibiotica, focalizzandosi sul modello assistenziale dei sanatori e, in modo particolare, sulla storia dell’Ospedale di Sondalo. L’attività clinica che vi era praticata è descritta parallelamente agli specifici caratteri architettonici di questi istituti, veri e propri strumenti di cura, alla cui progettazione lavoravano a quattro mani il medico e l’architetto.

La mostra, promossa dall’Azienda Ospedaliera Valtellina e Valchiavenna e dall’Università degli Studi di Milano Bicocca è stata realizzata in collaborazione con il Politecnico di Milano e curata da Davide Del Curto (Politecnico di Milano) e Michele Riva (Università di Milano Bicocca).

In Policlinico rimarrà esposta dal 25 febbraio al 15 marzo 2013 presso la Biblioteca del Polo Scientifico, 1° piano (orari Lunedì-Giovedì 9.00-17.00, Venerdì 9.00-13.00). Ingresso libero.