09/11 2012
Attualità

Quasi 600 ictus al giorno in Italia: le cause, la prevenzione, le terapie

— di Redazione

Ogni anno, nel mondo, 15 milioni di persone sono colpite da ictus, terza causa di decesso nei paesi industrializzati (preceduta da malattia cardiaca e dai tumori) e principale causa di invalidità permanente. In Italia si verificano circa 200.000 ictus ogni anno, quasi 600 casi ogni giorno. L’ictus è provocato da un disturbo della circolazione sanguigna a livello cerebrale, che può essere un’ischemia (cioè l’ostruzione di un’arteria) oppure un’emorragia (rottura dell’arteria).    Come fare per prevenire l’insorgere di queste malattie e quali sono oggi le terapie più avanzate per contrastarle? Lo spiega Paola Santalucia, neurologa presso la Fondazione Ca’ Granda.

Dottoressa, quali sono le cause che portano all’occlusione o alla rottura di un’arteria?

Le cause sono molteplici, ma in ultimo riconducibili al meccanismo aterotrombotico, ossia la formazione del trombo, un aggregato di molecole del sangue alterate a causa di un processo patologico a monte, che comporta il restringimento o l’occlusione di un’arteria.

Ci sono dei comportamenti nella nostra vita quotidiana che potremmo modificare per ridurre il rischio di insorgenza di queste malattie?

Assolutamente sì, la prevenzione è la chiave di volta, uno stile di vita salutare che si componga di alimentazione sana ed attività fisica riducono e talora abbattono il rischio di insorgenza della malattia cardiovascolare, incluso l’ictus cerebrale.

Quali sono ad oggi le terapie?  

La terapia dell’ictus deve essere distinta tra interventi per la prevenzione e quelli per la cura. Nel primo caso è importante, oltre all’attenzione allo stile di vita, il controllo della pressione arteriosa e del colesterolo nel sangue; fondamentale, inoltre, il controllo della glicemia in caso di diabete. Nel secondo caso, un ruolo importante è svolto dall’educazione a riconoscere i sintomi: un intervento tempestivo, infatti, può fare la differenza, è necessario intervenire nel giro di poche ore con terapie specifiche che permettono al paziente di sopravvivere con esiti minimi o assenti.

Che cosa si intende per “rischio tromboembolico” nella malattia cerebrovascolare? 

Il rischio tromboembolico è riferito alla presenza di condizioni patologiche, come la fibrillazione atriale, e/o di alterazioni genetiche che determinano o contribuiscono a creare disfunzioni delle componenti del sangue fino alla formazione del trombo, responsabile della chiusura del vaso e causa di infarto sia cardiaco che cerebrale. Quando il trombo, formato in una determinata sede, ad esempio cardiaca, migra attraverso il sangue verso un’altra sede, ad esempio cerebrale, si parla di “evento embolico”.

Proprio sul tema “rischio tromboembolico nella malattia cerebrovascolare” è previsto un apposito meeting il prossimo 17 novembre, organizzato dalla “Women Stroke Association”. Nell’Aula Magna della Clinica Mangiagalli della Fondazione Ca’ Granda (via Commenda 12) numerosi esperti si confronteranno sulle problematiche di rischio, prevenzione e scelta della terapia per la malattia cerebrovascolare ad eziopatogenesi tromboembolica, dalla fibrillazione atriale al PFO(Forame Ovale Pervio), al rischio correlato, alle malattie autoimmuni ed alle fasi della vita riproduttiva della donna.