24/10 2012
Cultura

La storia del benefattore che vendeva i limoni ai passanti

— di Lino Grossano

Giuseppe De Palo, per decenni venditore ambulante di limoni nei pressi del Policlinico e dell’Università degli Studi di Milano, morì a 67 anni, il 13 aprile 1978, nominando erede universale dei propri risparmi – circa 80 milioni di lire – l’Ospedale Maggiore, con la precisazione che venissero ripartiti fra la Direzione Sanitaria e la Clinica Neochirurgica. La storia di Giuseppe De Palo fa emergere quanto la carità sia il più grande bisogno dell’uomo.

Dal Corriere della Sera, 17 giugno 1980 (L. Visintin, “Ha lasciato 80 milioni al Policlinico l’omino che vendeva limoni ai passanti”):

«La storia di Giuseppe De Palo, nato a Corato (Bari) il 24 luglio 1911, non sembra appartenere ai nostri tempi. Comincia con una sua lontana fuga dal paese, dai parenti, dal vivere sociale; prosegue – per anni – con quel suo offrire limoni rinsecchiti ai passanti, che il più delle volte pagavano gli agrumi lasciandoglieli in mano; e finisce con una dichiarazione fatta dal De Palo su un lettino dello stesso Policlinico: “Andate
in quella banca, nella mia cassetta c’è un lascito per voi”. Incredibile, ma vero. Chissà quando quest’uomo è arrivato a Milano. Chissà dove abitava, nei primi tempi. Si parla di una stanzetta nei pressi di via Francesco Sforza, ma su questo punto c’è incertezza. Un certo giorno, in ogni modo, l’omino compare davanti al Policlinico. Per anni e anni fa la spola tra i cancelli dell’ospedale e quelli dei giardinetti Guastalla. Si siede sul muretto di recinzione, in pietra; se fa caldo si tiene all’ombra, con la camicia slacciata, ma sempre molto coperto; se fa freddo, alle volte, dà fuoco a una cassetta di limoni, naturalmente vuota, e passa le mani sopra la fiamma. Vende
limoni, ma è un modo di dire. Offre limoni sì, ma è soltanto uno schermo al suo civico pudore; in realtà chiede l’elemosina, intasca una moneta dopo l’altra e i limoni di partenza gli restano lì per ore, anche per giorni, paganti cento volte, finché diventano neri fossilizzati. Allora De Palo li butta via, e se ne procura degli altri. Alla sera l’omino torna a casa, nella sua stanzetta. Non ha moglie, né figli, né amici, né gatti. Ha soltanto il suo libretto di risparmio, e bisogna dire che lo alleva benissimo: ogni otto, dieci giorni, si presenta all’agenzia della Banca Commerciale, in via Francesco Sforza, e consegna un sacchetto di monete. Saltiamo così all’estate del ’77. De Palo è malato, i pochi che lo conoscono gli consigliano di andare ad abitare in una pensione, e lui ci va: Alloggio Cortesi, in un palazzo Liberty di viale Monte Nero. Centomila lire al mese, per una stanza pulita e un piatto di minestra. De Palo si sente
un signore, tanto che si fa un altro libretto di risparmio, per l’argent de poche, in una banca vicina alla pensione. Ma il male avanza. Nel febbraio del ’78, invece di stare davanti al Policlinico, De Palo è costretto a farsi portare dentro, reparto neurochirurgia. Ci rimane qualche giorno, poi scappa; sviene in strada (la padrona della pensione lo trova riverso in viale Regina Margherita) e torna in ospedale. A poco a poco, si aggrava; nei suoi ultimi giorni di vita, comincia a parlare del libretto di banca e del lascito; la superiora riferisce al direttore sanitario, dottor Luigi Marangoni. De Palo muore il 13 aprile coccolato da tutto il Policlinico. Nella cassetta di sicurezza c’è il testamento e c’è il libretto con 79 milioni. Un altro milione è sul libretto di viale Monte Nero».

In mancanza di documentazione fotografica riguardante il benefattore, la Commissione Artistica dell’Ospedale affidò nel 1984 a Francesco Tabusso l’incarico di realizzare un dipinto allegorico. Il pittore, attraverso particolari suggeritigli da chi aveva conosciuto il benefattore, abbandona l’idea di una composizione allegorica, preferendo evocare sulla tela i tratti essenziali del De Palo, soprattutto quel suo caratteristico atteggiamento di umile, ma dignitoso. L’opera fu ultimata nel 1986 e attualmente è esposta nel corridoio della Direzione di Palazzo Uffici. Al benefattore è stato anche da poco intitolato il Prefabbricato che ospita l’area di degenza di Chirurgia Vascolare e di Traumatologia della Fondazione Ca’ Granda.

Paola Navotti