Epatite B per 250 milioni di persone nel mondo. I progressi nelle cure e le sfide per il futuro



Se scoperta per tempo e se trattata nel modo corretto, è  una malattia con cui si può convivere

Negli ultimi anni il propagarsi dell’infezione da virus dell’epatite B (HBV) si è ridotto grazie all’introduzione di un vaccino specifico, disponibile in Italia dal 1991. Anche l’utilizzo di terapie antivirali utili a bloccare la replicazione del virus HBV (NUC) ha contribuito a rallentarne la diffusione nella popolazione. L’infezione, però, è ancora endemica in alcune aree geografiche come Asia e Africa, e i flussi migratori da queste aree hanno portato a un aumento di casi anche in Italia.

Si stima, infatti, che nel mondo ci siano 250 milioni di persone colpite da epatite B, ma grazie ai progressi nelle cure, i pazienti che seguono le terapie hanno un'aspettativa di vita pressoché identica alle persone che non sono mai state colpite dal virus.

Per saperne di più su questa patologia, abbiamo incontrato il Prof. Pietro Lampertico, Direttore del’unità di Gastroenterologia ed Epatologia del Policlinico di Milano.


Come si trasmette il virus dell’epatite B?

La trasmissione di HBV avviene prevalentemente per via sessuale e/o per via parenterale, cioè attraverso il contatto diretto con sangue presente ad esempio su aghi, siringhe o altri strumenti infetti. Generalmente l’infettività dipende dalla concentrazione di virus presente nel sangue o nei fluidi corporei con cui si viene in contatto. Si parla poi di trasmissione verticale quando l’infezione viene passata dalla madre infetta al suo bambino. Oggi questa modalità di trasmissione è molto rara, perché le donne durante la gravidanza vengono sottoposte a screening delle infezioni e, se positive a HBV, trattate con l’antivirale prima del parto e il neonato viene vaccinato e trattato con immunoglobuline specifiche alla nascita.

Ci sono sintomi che permettono di diagnosticare questa infezione precocemente?

L'epatite B è una malattia infettiva acuta che colpisce il fegato. Sintomi classici sono stanchezza ed ittero (colorazione gialla della pelle e della sclera dell’occhio), con valori di transaminasi molto elevati. Le transaminasi sono enzimi presenti soprattutto nel fegato e un loro aumento potrebbe indicare un’infiammazione o un danno alle cellule del fegato. Quest’ultime, infatti, se danneggiate, possono rilasciare nel circolo sanguigno quantità di transaminasi superiori alla norma. Nella maggior parte dei casi il problema è lieve e solo temporaneo, ma in alcune circostanze l’aumento delle transaminasi può essere associato a un disturbo al fegato più serio, a volte anche cronico.

Quindi si può guarire dall’epatite B?

In linea generale si può dire che più del 95% dei pazienti con epatite B acuta guarisce spontaneamente, mentre nel restante 5% si ha cronicizzazione dell’infezione e, più raramente, a un progressivo deterioramento della funzione del fegato. Nel mondo si registrano fino a 1 milione di morti all’anno causati dall’epatite B. Questo succede poiché il virus HBV può non essere del tutto eliminato dal sistema immunitario e persistendo nel fegato lo danneggia lentamente e quando i sintomi si manifestano è troppo tardi per intervenire. Accanto a questo può anche capitare che l’infezione si manifesti senza sintomi evidenti (asintomatica). Per questi motivi spesso l’epatite B viene definita dagli esperti killer silenzioso.

Come avviene la diagnosi di epatite B?

Il test utile alla diagnosi di infezione da HBV è l’HBsAg, un tempo definito “antigene Australia”. Se positivo, sarà cura dello Specialista Epatologo eseguire gli accertamenti utili a valutare il potenziale infettivo, l’attività di malattia, la necessità di terapia e la severità del danno. Gli esami del sangue completi, un’ecografia dell’addome e il Fibroscan permettono di avere un quadro chiaro della situazione clinica.

Troppo spesso però, con l’eccezione delle diagnosi fatte in fase acuta, l’individuazione dell’infezione da HBV è occasionale in seguito ad esempio a controlli per altre patologie o di routine, in cui  gli esami del sangue mostrano un livello di transaminasi alterato.

È quindi molto importante che le persone che hanno avuto fattori di rischio come storia di tossicodipendenza, rapporti sessuali non protetti, emotrasfusioni e/o procedure chirurgiche prima degli anni ’80) o con familiarità per epatopatie, soprattutto se da HBV, eseguano uno screening delle epatiti a prescindere dall’andamento degli esami ematici.

Quali sono le terapie attualmente disponibili per il trattamento dell’epatite B cronica?

Innanzitutto è bene precisare che non tutti i pazienti con infezione cronica B richiedono una terapia. Infatti, in alcuni casi (“portatori inattivi”) il virus non replica o replica molto poco, condizione che si associa ad assenza di danno epatico, basso rischio di progressione a cirrosi e scarsa infettività. Nei casi in cui invece la malattia è attiva, c’è rischio di progressione a cirrosi o è già presente, sono disponibili farmaci in grado di bloccare la replicazione del virus, arrestare il decorso di malattia e, nei pazienti già cirrotici, ridurre il rischio di complicanze cliniche (scompenso epatico, peggioramento ipertensione portale, sviluppo epatocarcinoma)

Questi progressi nelle cure hanno trasformato l'epatite B da patologia ad elevata mortalità in una malattia cronica ben controllabile se i pazienti vengono seguiti in Centri specializzati in cui poter impostare il follow-up più adeguato.

Infine, in che direzione sta andando la ricerca?

La ricerca scientifica continua, e si è focalizzata in particolare su due obiettivi: il primo è migliorare i farmaci anti-HBV attualmente disponibili, il secondo è quello di sviluppare nuove strategie terapeutiche che combinino più molecole e siano in grado di guarire completamente da questa infezione. Al Centro Migliavacca del Policlinico di Milano, principale centro epatologico italiano per la diagnosi e lo studio delle malattie del fegato e delle vie biliari, sono in corso studi con molti nuovi farmaci che, somministrati in combinazione sfruttando meccanismi di azione complementari, potrebbero far guarire completamente una quota significativa di pazienti con trattamento di breve durata.


Direttore dell'Unità di Gastroenterologia ed Epatologia del Policlinico di Milano



Aggiornato alle 12:02 del 20/08/2021