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21/03 2025
Salute

L’acchiappasogni invisibile

— Marina Lauro

Ti sfioro la mano con i guanti, ti guardo mentre sei ancora addormentato e ti tocco appena con la punta delle dita.
Probabilmente non ti rivedrò mai più, ma nel profondo ho la certezza che, quando ti sveglierai, ti ricorderai di quella carezza.
Veloce.
Fugace.
Quasi impercettibile.

Sei un paziente appena operato, uno come tanti che sto “trasportando” dal blocco operatorio alla sua stanza di degenza. Hai dormito per tutto il tragitto, dalla sala in cui mi sei stato affidato fino al momento in cui ti ho adagiato nel tuo letto. Ti ho portato, letteralmente: la barella è davvero pesante, talmente pesante che non puoi esserci solo tu lì sopra. Hai senz'altro con te anche il peso delle paure, così come quello di tutti i sogni e le speranze per il tuo nuovo futuro.
Una ruota barcolla in modo leggero, e quasi mi sembra di cullarli, questi tuoi sogni.

Non è vero che tutti i trasporti sono uguali.
Ci sono alcuni fattori costanti: tragitto, ascensore, barella, lenzuola, camicini. Le uniche due variabili, che danno senso a tutto questo, sono la persona sopra la barella e l’operatore, che quella barella la accompagna. Mi è sempre piaciuto accompagnare qualcuno a destinazione. Portare con sé, custodire, trattenere. C’è qualcosa di più bello? Anche una semplice mansione da barelliere assume un significato diverso, più grande. A volte, come è successo oggi, accade una terza piccola variabile.
Dopo l’intervento, anche se eri in dormiveglia, chissà perché ho percepito che avevi paura. Da quando lavoro in sala operatoria mi chiedo sempre come stanno i pazienti che accompagno verso i loro letti. Che sogni hanno? Cosa hanno fatto o cosa faranno della loro vita? Chi c’è ad aspettarli in sala d’attesa, a casa, nel loro mondo? Forse capita a tutti di incrociare lo sguardo con uno sconosciuto sul treno, in aereo, per strada o in autobus, e chiedersi qual è la vita di questa persona? Cosa prova, cosa vive? Come sta, cos'ha dentro il cuore?

Accompagnare qualcuno su una barella sembrerà banale, ma ad essere onesti non è affatto semplice, soprattutto se dorme o se resta in silenzio. Il vuoto contiene tanti significati, e ha un suo linguaggio a cui bisogna dare forma e colore. Io il colore ho provato a darlo indossando la mia cuffietta preferita. Ci sono disegnati su i classici acchiappasogni, con la piuma bianca attaccata alla fine del cerchio. Si pensa che possano allontanare i cattivi pensieri dai nostri sogni: hanno un cerchio che rappresenta la vita e una piccola rete per trattenere le cose belle, in modo che possano tornare alla mente durante la giornata.
Ecco, oggi spero di essere stata il tuo acchiappasogni.

Hai fatto un intervento importante, molto importante. Ti ho trasportato nel modo più delicato che potevo, e per tutto il tragitto ho pensato al tuo prima e al tuo dopo: mi auguro che questo tuo viaggio sia il meno traumatico possibile. Fino a quando sarai in reparto andrà tutto bene: gli infermieri e i medici si prenderanno cura di te, sarai seguito e coccolato. Ti verranno consegnati gli strumenti per cominciare la tua nuova vita.
La mia carezza, però, è per il dopo.

Per quando ti sveglierai una mattina, ti guarderai allo specchio e scombinerai tutto il guardaroba perché il tuo corpo non è più lo stesso. Perché amavi il mare, e ora invece preferiresti coprirti con i vestiti della montagna. Per quando nasconderai la cicatrice, perché è brutta. Ti ha salvato la vita, è vero, e bla bla bla, ma è brutta e basta. Per i giorni in cui ti capiteranno sottomano le foto di come eri prima, e maledirai la vita che ti ha messo su una strada diversa. Per quando sarai costretto a fare un passo indietro, in un percorso sempre troppo lungo per le tue gambe, e ti sforzerai comunque di fare due faticosi passi avanti.
Alla rabbia, ai pianti, alla tristezza.

Gli altri non lo possono sapere, non possono nemmeno immaginare come ci si sente con quella cicatrice. Non possono capire cosa significa ringraziare il chirurgo che ti ha salvato la vita, e allo stesso tempo maledire quel segno così indelebile sulla pelle, che arriva a scalfire perfino il tuo cuore.

Non credo ti ricorderai di me o della mia cuffietta, e non mi importa. La tua barella era davvero pesante: ecco, vorrei che quel peso non fosse solo il tuo io, con i sogni e le tue paure. Ma che fosse anche il peso di tutte le risorse che nascondi e che d'ora in poi dovrai mettere a nudo, per affrontare la parola più importante per te. La parola dimissione.

Fin qui è stata dura, ma ora devi aprire una porta nuova, più complessa. Una porta chiusa, di cui nessuno può darti le chiavi. Quelle chiavi non esistono. La chiave, se lo vorrai, sei davvero SOLO TU

Articolo tratto dal magazine Blister, storie dal Policlinico per curare l'attesa.

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