
Dall’altra parte del dolore
— Marina Lauro
Il greco antico ha una forma grammaticale che amo, il duale: né singolare né plurale. Che bisogno c’è di una forma specifica per indicare qualcosa che è “una coppia”? Mentre il plurale indica un insieme di singoli elementi che perdono la loro unicità nel gruppo, il duale si concentra sulla relazione tra due elementi, la cui identità si completa proprio in virtù del legame a due e genera qualcosa di inedito. La vista è il duale degli occhi. L’udito il duale delle orecchie. La relazione d'aiuto è il duale tra paziente e operatore sanitario.
E’ proprio da questo duale che voglio partire; dalle mani che mi hanno accarezzata, sorretta e sostenuta durante la mia durissima degenza ospedaliera. Loro e io. Il mio dolore e la loro professionalità.
Immaginate di aprire insieme a me la porta di una stanza di degenza, bussiamo, ci affacciamo, e questa volta dentro “quel letto” ci sono io. Io, proprio io. Chiudete gli occhi, mi sto trasformando; la mia divisa da operatore sanitario scompare, e questa volta mi ritrovo in pigiama: la paziente della stanza 111 ha il mio nome e il mio cognome, ma soprattutto ha paura, la mia paura questa volta. Quando entri in contatto con il dolore degli altri è più semplice a volte, ad un certo punto ne prendi le distanze. Quando la paura è tua invece cosa puoi fare? E’ lì: sul tuo cuscino, dentro agli occhi, nei tuoi fogli sparsi.
Difficile spiegare a parole il mio viaggio dall’altra parte della barricata, davanti a un ostacolo così grande l’unica soluzione è entrarci dentro, percorrerlo. “La migliore via d’uscita è sempre attraverso” dice il poeta Robert Frost, e credo abbia ragione. Ce ne possiamo rendere conto quando affrontiamo una crisi. Il dolore è vita che si è finalmente decisa a guarire. Come una malattia, come un intervento chirurgico.
I cinque sensi sono la bussola che ci rende vivi, ed è proprio con questi che vorrei farvi rivivere il mio percorso ospedaliero.
Tatto: è il senso che più rappresenta queste settimane di ricovero. Ho sentito dolore, tanto, a tratti, intermittente, continuo, a volte talmente forte che ho pianto e vi ho chiesto aiuto. Ho suonato quel famoso campanello a cui da anni rispondo io, e siete sempre accorsi: infermieri e operatori. Mi avete toccata, avete delicatamente infranto lo spazio interpersonale tra me e voi e mi avete sollevata, coccolata. Le vostre mani di terapie e di gesti hanno alleviato il subbuglio del mio corpo e del mio cuore. Una stretta di mano è valsa più di qualsiasi antidolorifico.
Vista: vi ho visto correre, entrare, uscire, portare, sistemare, trafficare. I miei occhi vi hanno cercato per trovare conforto. Con questi occhi ho pianto e riso con voi. Con questi occhi a tratti mi sono sentita sola: il tempo che mi è sempre sembrato poco in reparto per fare tutto e bene, nel mio letto è durato un'eternità. Ho aspettato la mattina per vedervi comparire e per stare meglio. Quanto è importante una presenza? Un semplice sorriso? Un buongiorno? Non lo dimenticherò mai quando tornerò a occuparmi dei pazienti.
Gusto e olfatto: o, per dirla con altre parole, sondino nasogastrico. Quante volte ho preparato il materiale necessario, quante volte li ho sistemati, quante volte ho cambiato il cerottino sporco. Non avrei mai immaginato che averlo su sé stessi fosse un tale incubo. E' stato terribile; ancora adesso ricordo le notti insonni, il mal di stomaco, il non riuscire a parlare. Il dolore fisico ti entra nell’anima, e vi confesso che la mia anima ha davvero barcollato in alcuni momenti. In alcune circostanze, persino la più grande forma di empatia verso il paziente non potrebbe aiutarlo. Ma ho capito che anche solo la presenza, a volte, può cambiare tutto. Grazie per la vostra presenza: non potevate togliermelo subito, ma la relazione di aiuto con voi mi ha dato fiducia per superare, ogni giorno, un giorno in più.
Udito: ultimi, ma non per importanza, sono stati i rumori che hanno accompagnato la mie settimane in reparto. Rumore dei campanelli, dei vostri passi, le vostre voci, il bip dei macchinari, le ruote dei carrelli… rumori amici che mi hanno tenuto compagnia, e che nel frastuono dell’attività lavorativa si perdono. E poi ci sono le parole, le vostre, le nostre. Grazie perché avete sempre trovato un momento per la relazione con me, anche nella fretta e nel caos. Grazie perché ho aspettato di potervi parlare, e voi mi avete sempre dedicato il tempo necessario. Grazie perché mi avete chiesto come stavo e siete rimasti lì ad aspettare la risposta. Siete stati la mia ancora in mezzo al mare.
Sono stata operata due volte, e con questi interventi da oggi ho una nuova vita. E' stata davvero un'odissea, una cicatrice sulla pelle che è impossibile da raccontare fino in fondo. La guardo, a tratti la odio, a tratti la amo… so che ci vorrà del tempo per imparare a camminare in questa nuova avventura. E so anche con estrema certezza che quello che ci salva sempre sono le persone: quelle che ho avuto la fortuna di incontrare io in reparto.
Grazie a tutto il reparto di Chirurgia Generale, da paziente non dimenticherò mai della vostra cura e professionalità. Da operatore sanitario invece porterò la mia esperienza nello zaino, per essere da oggi una professionista ancora migliore davanti a chi affronta un viaggio come il mio.