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20/10 2023
Salute

Mangiare sapendo ascoltare il nostro organismo. La nutrizione personalizzata e l'equilibrio del cibo con i nostri ormoni

— Lino Grossano, con la consulenza scientifica di Carlo Agostoni, direttore della Pediatria - Immunoreumatologia ed esperto di nutrizione clinica.

Quando abbiamo fame, è perché il nostro cervello dice all'organismo che ci serve assumere energie attraverso il cibo. Quando siamo sazi, invece, il cervello 'si accorge' che abbiamo mangiato a sufficienza e ci avvisa che la pancia è piena. Ma chi dice al cervello se e come abbiamo mangiato? Come fa ad accorgersi a distanza di quello che sta accadendo nel nostro corpo, e in particolare in bocca, stomaco e intestino? Il merito è degli ormoni: piccole sostanze chimiche che sono responsabili di un'infinità di meccanismi ed equilibri nell'organismo, e quello legato alla nutrizione è solo uno dei tanti. Abbiamo esplorato questo tema con Carlo Agostoni, direttore della Pediatria - Immunoreumatologia del Policlinico di Milano ed esperto di nutrizione clinica.

 

Che legame c'è tra ormoni e alimentazione?

C'è un legame molto stretto: l'alimentazione influenza il nostro profilo ormonale, e viceversa. Conoscere questo legame e come funziona ci permette di capire quali sono le accortezze giuste per un'alimentazione adatta a noi e quindi per essere il più possibile in salute.

 

Come funziona questo rapporto tra ormoni e cibo?

Il senso di fame e sazietà dipendono, tra le altre cose, da due ormoni chiamati insulina e glucagone. Semplificando molto, il primo si accorge dell'abbondanza di zuccheri nel nostro organismo e li rimuove facendoli depositare come glicogeno e grasso, in pratica li mette da parte per usi futuri; il secondo invece agisce quando abbiamo un calo di zuccheri in circolo e avvisa l'organismo di liberarne un po' dalle scorte.

A seconda di come mangiamo, quindi, il nostro organismo e i nostri ormoni rispondono in maniera differente. Se mangiamo cibi che contengono tanti zuccheri semplici, ad esempio un dolce, l'insulina aumenta improvvisamente per gestire gli zuccheri e poi altrettanto rapidamente si riduce: questo calo improvviso 'inganna' l'organismo e gli fa credere che abbiamo ancora bisogno di energie, stimolando ancora il senso della fame. Diventa però un circolo vizioso, perché saremo portati a immagazzinare molte più calorie di quelle necessarie. Ci sono alcune strategie per evitare che accada: anche la frutta è ricca di zuccheri semplici, però al contrario dei dolci ha anche un alto contenuto di fibre: e sono proprio le fibre che evitano un 'picco' di zuccheri, così l'insulina aumenta più lentamente e ci sentiamo sazi più a lungo. Ogni alimento è quindi un microcosmo di elementi e andrebbe sempre considerato nel suo insieme. Questo meccanismo, per quanto semplice, è la base della prevenzione e la terapia stessa di diverse patologie, prima su tutte il diabete di tipo 2.

 

Che ruolo ha invece la genetica di ciascuno?
La genetica ha un ruolo parallelo e importante nella nostra alimentazione, ed è alla base di quella che si definisce oggi nutrizione personalizzata. In diversi studi scientifici si è visto che non tutti rispondono allo stesso modo agli alimenti. Ad esempio, in generale gli zuccheri semplici alzano di molto l'indice glicemico, mentre i legumi o la pasta al dente contribuiscono a tenerlo basso, il che è preferibile per la regolazione del senso di fame e sazietà. Nonostante questo, alcune persone rispondono all'assunzione di legumi come se fossero zuccheri (si alza l'indice glicemico), e al contrario reagiscono agli zuccheri in modo diametralmente opposto. L’approccio nutrizionale, quindi, non può essere identico per tutti ma dovrebbe essere considerato in base al singolo individuo. Si tratta di un discorso complesso, ed è cambiato profondamente rispetto al passato, nella recente ottica di prevenzione dell’obesità, diabete e malattie cardiovascolari. In tempi in cui il cibo era scarso, paradossalmente l'obesità era una caratteristica dei ricchi e permetteva alle persone di sopravvivere meglio a guerre e carestie mentre la maggior parte delle persone, in stato di povertà, aveva meno risorse per sopravvivere. Oggi invece la situazione è esattamente opposta.

 

Come funziona l'alimentazione personalizzata?

E' un concetto che per alcune patologie (per esempio alcune malattie ereditarie) risale agli anni ’70. Recentemente la sua applicazione si è estesa anche ai soggetti sani a scopo preventivo, ed è stata studiata in particolare da un gruppo di ricercatori israeliani. E' stata testata la glicemia ad un numero molto consistente di persone mentre provavano diversi tipi di pasto, per rilevare i picchi glicemici sia nello stesso individuo sia tra individui diversi. Si è così visto che era possibile creare degli algoritmi per determinare quali tipi di cibi andavano bene per un soggetto e quali no, “costruendo” di fatto una vera e propria dieta personalizzata. Non è però solo l'insulina a giocare un ruolo nell'alimentazione, poiché altri fattori (ambiente, etnia, attività fisica, solo per citarne alcuni) giocano ruoli indipendenti. Queste ricerche sono importanti perché rilevano una modificabilità della dieta in maniera positiva su base individuale ma sono ancora la punta dell'iceberg, e necessitano di essere ancora meglio definite e completate.

 

E noi, come possiamo accorgerci se abbiamo un buon equilibrio tra ormoni e alimentazione?

Un suggerimento alla portata di tutti ma che può essere efficace in maniera semplice nella vita di tutti i giorni è quello di tenere un diario alimentare. Bisogna tracciare ciò che mangiamo a colazione, spuntino, pranzo, merenda e cena, e vedere dopo ogni pasto quanto tempo ci vuole perché ci torni fame. Se abbiamo fame di nuovo dopo un'ora, significa che il nostro pasto non era adatto per noi e ci ha provocato un picco glicemico; se invece arriviamo al pasto successivo senza particolari problemi, dopo 3-4 ore, allora vuol dire che abbiamo 'indovinato' il cibo giusto che ci fa avere una glicemia costante, e quello è il regime alimentare che fa per noi. Se ad esempio si fa colazione con pane, burro e marmellata e dopo un'ora si ha ancora il senso di fame, allora non è un alimento ideale per noi; se invece quella stessa colazione non ci fa venire ancora fame prima di 3-4 ore, abbiamo trovato il nostro equilibrio. Anche i livelli di attività fisica possono incidere su queste percezioni.

 

Come cambia il rapporto ormoni-alimentazione dopo il parto e durante l'allattamento?

Fino a 30-40 anni fa si consigliava di pesare il bambino durante l'allattamento per monitorarne la crescita, e se questa non era ritenuta adeguata il latte materno veniva integrato con il latte artificiale. L'allattamento poi era indicato a orari fissi, come se fosse un farmaco. Oggi invece si comincia a scoprire il cronobioritmo del lattante, che è governato dagli ormoni e che conferma la validità del suggerimento dell'allattamento 'a richiesta'. E' quindi il bambino che indica quando ha fame e quando no, e la madre deve semplicemente assecondarlo “responsive feeding”). Questo perché anche il latte materno contiene un ampio spettro di ormoni, tipico di ogni diade “madre-bambino” (ossia, è unico per ogni mamma e il suo bambino). Questo favorisce quindi il legame mamma-bimbo: nel momento in cui la madre segue quello che suggerisce il suo piccolo come momento di fame e sazietà, questo legame si rafforza.

   Infine, di recente si sta studiando il ruolo di alcuni ormoni nella regolazione del ritmo sonno-veglia, in particolare della melatonina, a sua volta importante nell’amplificare l’asse mamma-bambino. Gli studi sono ancora agli inizi, ma è di certo un campo promettente per comprendere ancora di più l’unicità dell’allattamento al seno, così come lo stretto legame tra ormoni e nutrizione.