AIDS, cos'è la terapia PrEP? I farmaci per prevenire l'HIV nelle persone più a rischio



La prevenzione contro l'AIDS non è mai abbastanza. Anche perché sono circa 4mila l'anno le nuove diagnosi di positività all'HIV (il virus responsabile di questa sindrome), un numero che sostanzialmente non è mai calato negli anni. A questo dato si aggiunge un ulteriore 30% di casi 'sommersi', ovvero di persone già sieropositive ma che non sanno ancora di esserlo. Diventa quindi fondamentale fare tutto quello che è in nostro potere per prevenire la diffusione del virus: ad esempio proteggendosi dai rapporti e dalle situazioni a rischio, e utilizzando i preservativi nei rapporti con i partner non stabili o con persone sieropositive. Accanto a tutto questo oggi è disponibile anche la PrEP, ovvero la profilassi pre-esposizione: ne abbiamo parlato con Alessandra Bandera, infettivologa del Policlinico di Milano.

 


Infettivologa 


Che cos'è la PrEP? E come può essere utile per gestire meglio l'epidemia di AIDS? 

La profilassi pre-esposizione è un modo per prevenire l'infezione da HIV per le persone che non hanno contratto il virus, ma che sono ad altissimo rischio. La PrEP consiste nell'assunzione di farmaci antiretrovirali: in particolare vengono combinati due medicinali (tenofovir ed emtricitabina) che vengono già utilizzati in combinazione con altre molecole per il trattamento dell'HIV.

Se assunta quotidianamente o secondo lo schema indicato dal medico specialista, la PrEP è molto efficace nella prevenzione dell'HIV. Gli studi scientifici hanno dimostrato che la profilassi pre-esposizione, se assunta correttamente, riduce il rischio di contrarre l'HIV in seguito a rapporti non protetti del 99%. La PrEP è invece molto meno efficace se non viene assunta in modo coerente. Poiché questa profilassi protegge solo dall'HIV, è importante continuare ad utilizzare i preservativi in caso di rapporti con partner non stabili, per massimizzare la protezione anche contro le altre malattie sessualmente trasmissibili, come ad esempio sifilide e gonorrea.

 


AIDS e comportamenti a rischio: com'è la situazione attuale? I giovani sono più consapevoli di un tempo, o al contrario si è persa la cultura della prevenzione?

Secondo i dati più recenti del Centro operativo Aids (Coa) dell’Istituto Superiore di Sanità, l’incidenza dell'HIV negli ultimi anni è più o meno costante sulla popolazione totale. La maggior parte delle nuove infezioni, però, si osserva negli individui tra i 25 e i 29 anni, tra i quali si sono registrati 11,8 nuovi casi ogni 100mila nel 2018. Incidenza che sale a 16,2 casi su 100mila se guardiamo la Regione europea dell’Organizzazione Mondiale della Salute (che riunisce 53 Paesi).

Quasi un caso su dieci (9%) delle nuove diagnosi segnalate nel periodo 2010-2018 riguarda i giovani sotto i 25 anni, in particolare quelli tra 18 e 24 anni. La maggioranza delle nuove diagnosi di infezione da HIV è attribuibile a rapporti sessuali non protetti, che costituiscono circa l’80% di tutte le segnalazioni.

Se negli anni '80 e '90 del secolo scorso c'era una consapevolezza maggiore del rischio contagio, oggi sembra che l'AIDS, la sindrome da immunodeficienza acquisita che può sopraggiungere in conseguenza all'infezione del virus HIV, faccia meno paura o addirittura non sia conosciuta dai giovani di oggi. 

Contestualmente, fino a metà degli anni '90 non erano disponibili terapie antiretrovirali efficaci. Solo negli ultimi 10 anni è stata messa a punto una terapia che non solo ha permesso di allungare notevolmente l’aspettativa di vita, ma che gioca un ruolo fondamentale nel prevenire il contagio: tanto da garantire, in caso di adeguata aderenza alla terapia da parte del paziente, una vita quasi del tutto normale e una sessualità priva di rischi per il partner. A questo proposito la definizione U = U, ovvero "undetectable equals untransmissible" ("se il virus non è rilevabile nel sangue, allora non è trasmissibile ad altri"), evidenzia il grande valore preventivo della terapia. Ma tutto questo dovrebbe essere sostenuto anche da iniziative complementari, come un’adeguata educazione al rischio di trasmissione per via sessuale, al fine di sviluppare una coscienza preventiva più matura, da esercitare ma anche da trasmettere a chi ne è purtroppo ancora privo.


Quali sono i servizi dedicati all'HIV del Policlinico di Milano?

Per i pazienti che hanno già una diagnosi di infezione da HIV offriamo la presa in carico a 360 gradi, con l'avvio del trattamento e un continuo monitoraggio sia clinico sia strumentale. Abbiamo anche a disposizione un approccio multidisciplinare con diversi altri medici specialisti, per poter gestire in sicurezza anche quei pazienti che hanno altre condizioni o patologie concomitanti. 

 

In particolare, in collaborazione con le Unità di Ginecologia, di Ostetricia, di Ematologia e insieme agli specialisti che si occupano di Trapianti d'organo (fegato, rene e polmone) abbiamo attivato percorsi specifici per i pazienti di queste specialità che abbiano anche un'infezione da HIV. Siamo quindi in grado di assistere casi complessi di sieropositività in persone che, ad esempio, stanno portando avanti una gravidanza, o che hanno subìto un trapianto, o ancora che abbiano patologie della coagulazione del sangue, con un approccio dedicato e a misura di paziente.


Ci sono in Policlinico progetti dedicati anche alle persone omosessuali e transgender?

Sì, in particolare Stipnet: si tratta di uno studio europeo, attivo anche nel nostro centro, che prevede visite ed esami gratuiti per prevenire la diffusione delle malattie sessualmente trasmissibili. Lo studio, della durata di 1 anno, si rivolge a MSM (uomini che hanno rapporti sessuali con uomini) e transgender, di età compresa tra i 18 e 55 anni e offre gratuitamente screening e consulenze. Ad oggi sono stati arruolati oltre 70 soggetti che sono in regolare follow-up. 



Aggiornato alle 11:51 del 17/09/2020