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30/04 2024
Attualità Salute

Intervista al Direttore Generale Matteo Stocco

— di Monica Cremonesi

12.500-13.000. Sono i numeri che appaiono ogni giorno sul contapassi di Matteo Stocco, da quando è stato nominato Direttore Generale al Policlinico di Milano, ma anche prima.
Si sa, il Policlinico di Milano è grande, circa 25.000 mq di estensione. E lui dal primo giorno incontra medici e infermieri nei vari reparti. Al mattino visita ogni angolo dell’Ospedale, al pomeriggio riunioni in sede. Ogni settimana fino ad ora è successo più o meno così.
 

Direttore, qual è l'ultimo libro che ha letto?

"Le regole del gioco" di Marco Mancini, un saggio autobiografico sul controspionaggio italiano che spazia dal terrorismo alle spie russe: l’ho letto durante le vacanze natalizie. Da quando sono diventato direttore generale la lettura è diventata un lusso, quasi esclusivamente “da vacanze”.

Quando tiene le lezioni ai master di management sanitario quale lezione trasmette ai giovani futuri manager?

Parto sempre parafrasando Henry Mintzberg, guru dell’organizzazione aziendale, che in un lavoro di anni fa scrisse come “non esiste organizzazione aziendale più complessa di un ospedale”.

E con questo li spaventa?

No, cerco di sfidarli. Abbiamo bisogno di talenti pronti al cambiamento, e soprattutto sottolineo loro quanto la capacità relazionali siano fondamentali nella gestione di una macchina complessa come un ospedale. È importante ciò che si studia ma è altrettanto importante metterci la faccia e tutti noi stessi, non avere paura del confronto, accompagnato da impegno e senso della responsabilità…meglio se con un sorriso. A mio avviso attitudini al cambiamento e capacità relazionali sono aspetti imprescindibili per navigare la complessità di una struttura sanitaria pubblica e ingaggiare talenti.

E questo vale per ogni figura professionale. Come enfatizza il lavoro di squadra?

Ricorro un’altra volta a una metafora di Mintzberg che paragona ogni elemento dell'ospedale a parti di un essere vivente, funzionalmente diverse ma indispensabili al funzionamento dell'insieme. Questo per illustrare come, in ogni organizzazione e soprattutto in quella sanitaria, l'integrazione dei ruoli sia cruciale per il successo complessivo, che è sempre curare chi soffre.

La mission di un ospedale è unica ed è sempre quella di essere al servizio del paziente. Vale ancora questa affermazione?

Sempre! Spesso, quando l’organizzazione dimentica il proprio ruolo è il fallimento dell'organizzazione stessa. La sfida maggiore è coltivare l'orientamento al servizio al cittadino in un contesto dove le organizzazioni pubbliche non agiscono più da tempo in regime monopolistico, ma devono fare i conti con i privati, efficienti ed organizzati in modalità anche molto differenti. È sempre opportuno mutuare esempi virtuosi dal settore privato integrato con il forte impegno sociale, caratteristico degli ospedali pubblici.

Lei fa il direttore generale da oltre 10 anni, qual è stato il grande cambiamento in questo decennio?

Covid-19 con tutta la sua violenza ha messo in luce l'agilità e la capacità di adattamento del nostro personale e delle nostre strutture. Tuttavia, assistiamo ad un rapido ritorno ad abitudini pre-pandemiche, drammaticamente self oriented. Non va dimenticata l’esperienza della pandemia, ma anzi, va consolidata l’attitudine al cambiamento sperimentata in quegli anni.

E’ sotto gli occhi di tutti la riduzione progressiva del numero dei professionisti disponibili sul mercato del lavoro. Il sistema sanitario pare pericolosamente destinato alla razionalizzazione dell’offerta, proprio per la carenza di risorse umane. Si è passati da una politica di razionalizzazione dei costi, alla consapevolezza maturata durante la pandemia, della necessità di incrementare e investire sui professionisti della salute. Il Sistema sanitario regionale con i suoi professionisti saprà fare, come sempre, il meglio per rispondere alle esigenze di chi soffre, in continua evoluzione.

Lei nasce biologo?

Non proprio, mi sono laureato in scienze biologiche lavorando nel settore commerciale della diagnostica di laboratorio come area manager. Ma la mia carriera di dirigente, focalizzata sulla gestione di strutture sanitarie, è iniziata nel 2012 con l’incarico di dirigente al Laboraf Diagnostica e Ricerca San Raffaele SpA, poi all'Ospedale Niguarda. La prima nomina a direttore generale, a 44 anni, alla ASL di Monza e Brianza, poi alla ASST di Monza, e negli ultimi 5 anni alla ASST Santi Paolo e Carlo e ora orgogliosamente al Policlinico di Milano.

Il Nuovo Ospedale, qual è la sfida? Ricordo che lei ha già partecipato all’avvio di altri nuovi ospedali: Niguarda e Monza.

Certamente si tratta di una grande opera di sanità pubblica, attesa da anni ma ora una realtà concreta. Il progetto non prevede solo la nuova costruzione del monoblocco di 900 posti letto dedicati alla degenza ma una graduale riqualificazione dell’intero presidio. I principi alla base del progetto attuale prevedono la separazione delle attività di degenza dalle attività diurne dei pazienti che vengono in ospedale per visite ed esami, il potenziamento dei collegamenti tra i vari padiglioni e i nuovi modi di condividere le risorse. La nostra priorità è garantire che questa riorganizzazione ottimizzi le attività, riducendo le liste d'attesa e migliorando complessivamente l'esperienza dei pazienti e soprattutto che il nuovo padiglione venga terminato nei tempi previsti, ma non solo, anche con l’apertura di nuove specialità, come riabilitazione e sub-acuti, con un occhio al benessere dei professionisti, grazie alla realizzazione di un convitto e uno studentato.

Le sue tre priorità per il Policlinico di Milano.

Certamente valorizzare il capitale umano, cioè le competenze e l’esperienza dei professionisti, favorire una sempre più forte integrazione tra l’attività clinica e la ricerca e non ultimo fare in modo che il Nuovo Policlinico sia un esempio di efficienza clinica in Lombardia e non solo.

Quando si capisce che un'organizzazione è in salute?

Il successo si misura attraverso dati di performance, quindi la prima cosa è analizzare i numeri, i dati di produzione, il numero di pazienti che riesci a trattare, confrontandoli con gli indicatori delle performance regionali e nazionali e lì vedi se l'organizzazione funziona. Ma anche dalla capacità di realizzare cambiamenti e miglioramenti, ovvero di crescere. Un'organizzazione funziona bene quando promuove la cura dei pazienti e il benessere del personale, evidenziando un equilibrio tra efficienza e umanità.

Momenti difficili?

Mi ricordo una domenica pomeriggio. In ufficio al San Carlo, durante il periodo Covid-19. Sembrava non potessimo avere i dispositivi di protezione per il personale che montava in turno alle 8 del mattino successivo. Una situazione che avrebbe messo a rischio la sicurezza del personale e richiesto decisioni drastiche. Quel pomeriggio ho temuto di dover ordinare il trasferimento dei ricoverati in altri istituti, ma fortunatamente siamo riusciti, grazie all’aiuto della Direzione Generale Welfare di Regione Lombardia, ad avere il materiale in nottata.

Il momento più bello?

Mi piacciono i sorrisi, gli scambi di battute, la soddisfazione di un paziente o di quel professionista, orgoglioso di lavorare nel nostro ospedale, magari perché siamo riusciti a fargli avere l’ultimo ritrovato tecnologico. Molto belli sono stati anche i saluti, quelli di fine mandato. Ricchi di emozione e stima reciproca, segno dell'impatto positivo lasciato sulle persone con cui ho lavorato e soprattutto il capire quanto ho io stesso imparato da quell'esperienza, da quelle persone.

La sua passione per le Alfa Romeo?

Da bambino ero affascinato dalle Alfa Romeo, mi fermavo ad ascoltare il rombo caratteristico quando passavano per le vie di Bruzzano, il mio quartiere da bambino. La mia GT Junior ha la mia stessa età ed è una preziosa compagna di viaggio… ma solo quando c’è il sole, altrimenti si bagna.

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