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01/10 2021
Salute

#TUMOREALSENO. Già che ci mettete le mani, fate anche un bel lavoro. Il racconto di Cinzia

— di Cinzia Sasso, giornalista

Ottobre, mese per la prevenzione del tumore al seno

Era la primavera del 2009. O era l’autunno? In realtà non sono così certa nemmeno dell’anno. A parte le date, del resto ricordo tutto con esattezza: la stanzetta un po’ angusta, la gentilezza dell’infermiera, la premura della radiologa, la faccia preoccupata del medico, la faticosa ricerca delle parole, la mia battuta rivolta al chirurgo plastico ('Già che ci mettete le mani, fate anche un bel lavoro') e lo sguardo allibito di mio marito che faticava a capire come si potesse buttarla sul ridere in un momento così, mentre ti stanno dicendo che hai il cancro.

A parte la fortuna che mi porto dietro dalla nascita, che è quella di vedere d’istinto il bicchiere mezzo pieno, e a parte la convinzione razionale che di fronte a tutte le cose che succedono tu puoi solo cambiare il tuo modo di affrontarle, quel pomeriggio, in quel reparto, c’era un’atmosfera di calore, competenza, serietà, interesse per la persona che non lasciava spazio all’angoscia. Sentivi che lì eri in buone mani. Non solo 'brave', mani; cioè di professionisti che sanno fare bene il loro lavoro. Anche 'buone', mani. Eri una persona, non un 'paziente'. Ed eri tu, tutto insieme, non la tua malattia.

Adesso quel patrimonio sostanziale si è arricchito anche di segni formali. Scendi le scale della mitica Mangiagalli, apri la porta di un brutto corridoio e resti a bocca aperta. Ti pare di entrare in uno di quei moderni caffè dove si lavora, si legge, si passa il tempo. Le pareti sono colorate del colore del buonumore, l’arancio. C’è una stanza piena di giochi per i bambini, con una finta finestra per cui sembra che ci sia sempre il sole. C’è una libreria piena di tutto: gialli, romanzi d’amore, saggi, volumi d’arte. C’è un cestone con gomitoli di lana così sferruzzi per ingannare l’attesa. Se entri nelle sale degli interventi ti avvolgono i petali di rosa pitturati sulle pareti.

È come se qui, in un luogo simbolo per la sanità pubblica che cura le donne, ci si sentisse presi per mano. Ecco perché non mi ricordo se l’anno era il 2009... Non è stato un trauma indelebile passare di qui. 

 

Tratto da blister n.2 Magazine del Policlinico per curare l'attesa