
Stanno succedendo un sacco di cose a Milano. Intervista a Marco Giachetti
— di Monica Cremonesi
Inaugura sale operatorie, riscopre tesori di arte e cultura da tempo nascosti e promuove il latte delle cascine.
Marco Giachetti è il presidente di un Ospedale che non è solo un ospedale. Ogni settimana lo trovi nel cantiere di quello che sarà il Nuovo Policlinico nel 2022, uno dei grandi poli della rinascita della città. Perché lui è come Milano, non si ferma mai. Anzi, pedala.
Marco Giachetti è un architetto.
Studia gli spazi dove costruire e custodire.
Per lui l’architettura è un percorso verso il nuovo che ci porta sempre alla nostra essenza.
Da qui il suo forte legame col territorio.
Presidente, perché ha scelto di fare l’architetto?
Da sempre amo disegnare gli spazi e proiettarmi in mondi interessanti, ma gli studi ad Architettura non sono stati la risposta immediata; venivo da un severo collegio maschile e la libertà del Politecnico anni ’80 non la capivo. Ho ritrovato la passione per l’architettura all’università inglese di Nottingham, dove il bello, la cura e il rigore si fondevano in armonia.
Tradizione e innovazione. Mi è capitata tra le mani una rivista alternativa di cui lei è stato fondatore negli anni ’90.
ARIO, è questo il nome della rivista, l’ho fondata insieme ad artisti già affermati, video artisti come Andrea Zingoni e Franco Bolelli, un filosofo “creatore di mondi”. La tecnologia era per noi il linguaggio del futuro. Nello stesso periodo esplodeva il Design. Alla Domus Academy, dove avevo la fortuna di studiare insegnavano Sottsass, Mendini, grandi nomi del Made in Italy. Ma lo spazio, le luci, la tecnologia al servizio dell’uomo rimanevano la mia passione.
C’è ancor spazio per un “visionario” come lei in questa Milano internazionale?
A Milano stanno succedendo un sacco di cose. Lo skyline, che ci piaccia o no, ci ha proiettato nella modernità, e non si tratta solo di edifici alti ma di spazi a terra aperti e socializzanti. Ma c’è ancora da fare; sui temi urbanistici partecipo attivamente al dibattito sugli Scali Ferroviari, una delle occasioni per la rinascita definitiva della città. Queste aree devono tornare ai cittadini per migliorare la nostra qualità di vita.
Dai cittadini ai cittadini, un tema a lei caro, una conferma che l’opera architettonica anche se nuova, porta i segni della nostra identità.
Si, è così che nascerà il Nuovo Policlinico nel 2022, unico caso in Italia di ospedale che si autofinanzia con risorse proprie grazie alla gestione del patrimonio accumulato nei secoli frutto delle donazioni di tanti benefattori. Restituiamo alla città la sua generosità. E non solo.
Stiamo aprendo al pubblico il nostro tesoro di arte e cultura. Tra queste mura c’era la vera agorà: qui si nasceva, si moriva e si facevano le alleanze per far crescere la città. La storia di Milano dal 1456 fino all’800 è custodita qui...
Il suo mandato è stato determinante per riavviare i lavori del Nuovo Policlinico. A che punto siamo?
Insieme alla mia Direzione Strategica e Scientifica, al team dei tecnici e a progettisti come Stefano Boeri siamo ripartiti. Sarà un edificio a minor dispersione di energia e a maggior condivisione di risorse; solo con più efficienza possiamo affrontare le sfide della sanità moderna. Sarà all’avanguardia anche per gli spazi; per esempio il grande Giardino Alto posto al centro dell’edificio sarà attrezzato per le terapie ma anche per il relax e verrà aperto anche alla città. Una vera osmosi urbanistica.
Perché ha una bottiglia di latte sulla sua scrivania?
È il Latte della Ca’ Granda (il tono è orgoglioso) uno dei risultati del rilancio delle nostre cascine, parte del nostro patrimonio rurale. Non dimentichiamo che il Policlinico è il più grande proprietario terriero della Lombardia con i suoi oltre 85 milioni di metri quadri. Aiutiamo i nostri agricoltori e il ricavato ritorna alla ricerca scientifica.
Quando non lavora come passa il tempo?
Faccio il papà e spesso vado allo stadio con mio figlio. Amo lo sport. A livello agonistico ho giocato a rugby e praticato ciclismo. In entrambi i casi c’era la fatica e il gioco di squadra. Ora mi limito all’Eroica, una gara ciclistica amatoriale ma di ben 100 km!
Per cosa vorrà essere ricordato quando lascerà questo prestigioso incarico?
Per aver vissuto la vita dell’Ospedale non solo dal mio ufficio ma anche entrando nei reparti, parlando con chi vive e lavora in Policlinico tutti giorni. Un onore.
Con qualche onere in più.