Quando la medicina costruisce la società
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June 2025

Ci sono medici che salvano vite. E ci sono medici che, nel farlo, cambiano anche le regole del gioco. Che non si limitano a rispondere a un bisogno clinico, ma si prendono carico del contesto in cui quel bisogno nasce: il lavoro, la città, le istituzioni, i diritti. Scopriamo perché il Policlinico di Milano è stato, e continua a essere, uno dei luoghi in cui la medicina assume questa forma più ampia: quella di impegno civile.
Nel primo Novecento, Luigi Devoto comprese che il dolore fisico non è mai neutro. Che dietro molte malattie si nascondeva una realtà fatta di sfruttamento, fatica, condizioni di lavoro inumane. Fu il primo al mondo a fondare, proprio al Policlinico, una clinica del lavoro. Non per rassegnarsi ai danni, ma per denunciarli, misurarli, prevenirli. La medicina diventava così anche una forma di lotta: per tutelare chi non aveva voce, per affermare che la salute non finisce sulla soglia dell’ambulatorio.
Decenni più tardi, un altro gigante della medicina, Vittorio Staudacher, si sarebbe battuto con la stessa determinazione per un altro tipo di diritto: quello dei cittadini a conservare il proprio ospedale nel cuore della città. Quando si discusse di trasferire il Policlinico in periferia, fu lui a guidare l'opposizione. Per Staudacher, l’ospedale non era solo un luogo di cura, ma un pezzo di identità collettiva, un presidio di prossimità, un’eredità culturale degli Sforza che non poteva essere sradicata. Medico, innovatore (fu tra i primi in Italia a eseguire trapianti cuore-polmoni), ma anche cittadino attivo: la sua visione ci ricorda che l'ospedale è parte integrante della città, non un suo margine.
A tenere insieme queste visioni c’è la figura monumentale di Luigi Mangiagalli. Medico, ginecologo, promotore della maternità come diritto e come scienza, ma anche sindaco di Milano, senatore, fondatore dell’Università degli Studi. Mangiagalli non ha solo curato: ha istituito. Ha disegnato nuove alleanze tra sapere, cittadinanza e amministrazione pubblica. Credeva che la medicina dovesse farsi sistema, cultura diffusa, accessibile a tutti. La sua eredità oggi vive nelle vie della città, nelle scuole di medicina, e in quella Clinica ostetrico-ginecologica che porta il suo nome.
In un’epoca in cui la medicina rischia talvolta di apparire tecnica, astratta, quasi disincarnata, queste storie ci riportano a un’idea potente: curare è anche prendersi cura della società. È battersi per il diritto a un lavoro sano, a una città giusta, a un sapere che non escluda. Chi lavora al Policlinico si ispira a questi esempi: perché non c’è salute senza comunità e non c’è progresso senza responsabilità civile.