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05/09 2023

Niente panico! Le epidemie tra passato e presente

— Nino Sambataro

Leggere libri non è del tutto inutile, come si potrebbe facilmente credere. Leggere libri di storia poi, oltre che istruttivo, può essere molto consolante. L’Ospedale Maggiore, che con il nome di Ca’ Granda esiste dalla metà del Quattrocento e che oggi conosciamo come Policlinico, ne ha viste di storie. E un po’ di storia l’ha anche fatta.

 

Una grande epidemia, una grave siccità e un profondo disagio sociale ci fanno subito pensare a Covid-19, al cambiamento climatico e al nostro tempo. Ma, molto di recente, è uscito un libro abbastanza sorprendente*, che descrive una situazione molto simile a quella attuale, mutatis mutandis, ovvio, tra gli anni Venti e Trenta del ‘500. Anni nei quali fu coniato il motto: “Franza o Spagna, purché se magna”. A significare che, mentre i due pesi massimi della politica europea si facevano la lotta sul suolo italico, la gente aveva altre, più prosaiche, preoccupazioni.

 

LA PESTE DI CARLO V

Nel succitato libro si parla di un morbo (la peste? il tifo?) comunemente noto come “peste di Carlo V”. Questo non perché il grande imperatore, sul cui regno non tramontava mai il Sole, ne fosse infetto e avesse contagiato i suoi sudditi, ma perché lo si attribuiva alla soldataglia che al soldo, appunto, dell’imperatore, imperversava per il Ducato di Milano, con conseguenze fatali per l’Italia intera. E’ interessante, e a tratti commovente, scoprire come le Istituzioni del tempo, con le conoscenze e i mezzi di allora, cercassero di far fronte a questo morbo terribile. I provvedimenti ducali prevedevano di “segregar li suspecti, brusare et mundare le robe loro”. Ossia, isolare i sospetti di contagio, bruciare e “disinfettare” le loro cose. Per ciò era entrato in funzione il Lazzaretto di Porta Orientale, amministrato dall’Ospedale Maggiore. Inoltre, le grida raccomandavano “de metere ordene che ciaschuno se guardi”, che significa grosso modo: introdurre tutte le misure atte a far sì che ognuno osservi tutte le cautele che la situazione richiede (per sé e per gli altri). Come a dire che, senza l’impegno e la buona volontà dei singoli, divieti, provvedimenti, grida e DPCM possono poco

 

LA CA’ GRANDA E GLI ALTRI LUOGHI PII

I Duchi di Milano, a quel tempo, presi tra Francia e Impero, facevano quel che potevano per arginare la situazione. Ed erano supportati in ciò dal patriziato cittadino e dai luoghi pii, quelle sante istituzioni che sfamavano i poveri, curavano i malati e assistevano gli esposti, gratis et amore dei

Tra queste istituzioni si menzionano: la Fabbrica del Duomo, il Luogo Pio della Misericordia, le Quattro Marie, il Luogo Pio della Carità e – non lo diciamo per portare acqua al nostro mulino, ma per dovere di cronaca – l’Ospedale Maggiore. Inutile dirlo, anche allora queste pie istituzioni avevano problemi di budget. La proverbiale coperta corta! Ad esempio le Quattro Marie, dovendo distribuire straordinariamente ai poveri, dovette dimezzare gli aiuti alle puerpere, che erano le abituali beneficiarie della sua assistenza. 

 

SICCITA’ PRIMA DEL CAMBIAMENTO CLIMATICO E RISTORI PRIMA DEL PNRR

La guerra, dunque, il morbo – il cui picco si registrò nell’estate del 1524 – e la grave siccità, che colpì il Milanese tra il 1521 e il 1522, fu devastante sul piano sociale. Al punto che i fittavoli dei citati luoghi pii, senza i ristori concessi dagli stessi enti benefici per cui lavoravano, sarebbero letteralmente morti di fame. Non c’era acqua per i campi e neanche per far girare i mulini. Già, perché le crisi energetiche ci possono essere anche con le energie rinnovabili. 

Ma la siccità ebbe effetti negativi anche sulla città. Nei pressi dell’Ospedale Maggiore, che ne era proprietario, esisteva una sosta, ossia un approdo per i barconi, che, a causa della forte siccità, era praticamente in disuso, e il locatario non ne ricavava abbastanza per pagare l’affitto all’Ospedale. In queste condizioni, e in assenza di un welfare state, la Ca’ Granda e gli altri luoghi pii si dimostravano molto indulgenti nei confronti dei loro fittavoli, concedendo ristori, sospendendo i canoni d’affitto e in alcuni casi cancellando i debiti pregressi. 

Le richieste degli affittuari venivano riferite ai “consigli di amministrazione” dei luoghi pii, che dovevano valutare l’entità dei danni. La delibera di remissione totale o parziale del fitto o, nel caso dell’Ospedale, la conversione di una sua parte in future forniture di commestibili, avveniva senza interventi di autorità esterne, dato che anche allora i tribunali erano intasati e pertanto, nel 1486 i deputati dei luoghi pii erano stati equiparati per decreto ducale ai giudici ordinari, nelle procedure esecutive contro i debitori. Comunque, i “periti” incaricati di valutare i danni e distribuire i ristori o condonare i debiti erano per lo più di manica larga e raramente opponevano un rifiuto. Non c’erano PNRR, ma la carità e la sensibilità verso i più bisognosi, sì. 

 

La presente storia ha una morale. Ovvero che già in passato il genere umano se l’è vista brutta, ma ce l’ha fatta. Quindi, non dobbiamo ignorare i problemi – ambientali, sanitari, sociali etc. – o negarli, ma neanche farci prendere dal panico. E affrontarli scientificamente. 

 

* "La battaglia della Bicocca e Milano all’epoca di Francesco II Sforza", a cura di Barbara Bracco e Michela Riva



Articolo tratto dal magazine Blister, storie dal Policlinico per curare l'attesa