
Non va bene neanche questo?
— Valentina Regonesi
Avere un ritratto nella galleria dei benefattori della Ca’ Granda è cosa assai rara, un privilegio che suscita ammirazione e rende onore a chi tanto ha donato all’Ospedale. Ma averne addirittura tre, forse è un po’ esagerato! Succede però, come nel caso di Sofia Gervasini, che vanta suo malgrado tre ritratti, voluti dagli eredi nel (vano) tentativo di farsene piacere almeno uno.
Tutto inizia nel 1911, quando la signora Gervasini lascia in eredità all’Ospedale 3 case, riservando per se stessa solo un modesto vitalizio. Alla sua morte, nel 1931, la Commissione artistica, riconoscente nei confronti della benefattrice, affida l’incarico di eseguire il ritratto a Umberto Lilloni, uno dei maggiori esponenti del chiarismo lombardo. Ma gli eredi e l’esecutore testamentario, una volta visto il dipinto, lo rifiutano con fervore, in quanto “non decoroso per la defunta”. A poco valgono le giustificazioni della Commissione artistica, che spiega come “si ritiene negli obblighi della Commissione di accogliere le forme d'arte più svariate, poiché la pinacoteca dell'Ospedale deve essere, quale fu in passato, non soltanto una documentazione iconografica, ma uno specchio contingente e vitale delle correnti artistiche del momento. Lilloni è stato scelto come esponente di una di codeste affermate tendenze [...]". Né i ritocchi apportati dall’artista sortiscono effetto alcuno: il dipinto non piace. Lilloni si offre allora di dipingere un secondo ritratto, “secondo la sua prima maniera”, cioè più influenzata dallo stile Novecento.
Di male in peggio! I parenti lo rifiutano più del primo, e anzi viene esplicitamente data indicazione all’Ospedale di “non esporre” il ritratto. Ed effettivamente così è stato fatto, tanto che il dipinto, che oggi per fortuna è ottimamente conservato nella Quadreria ospedaliera, è stato ritrovato anni fa arrotolato come un tappeto in un deposito… Per buona pace della famiglia, l’Ospedale decide infine di commissionare un terzo ritratto, questa volta ad un pittore diverso. Ma anche qui le cose non sono facili, perché il primo artista interpellato, Carlo Fornara, rifiuta. Si opta allora per Giulio Cisari, che esegue un ritratto completamente diverso dai due precedenti, che alla fine viene approvato dal Consiglio ospedaliero.
Oggi i tre quadri convivono pacificamente nella Galleria dei Benefattori, sistemati nelle rastrelliere uno dietro l’altro. Ai posteri l’ardua sentenza!
Lilloni ritrae Sofia Gervasini prendendo spunto da una fotografia in età giovanile, durante una villeggiatura tra Lavagna e Sestri Levante. L’artista sviluppa un nuovo uso del colore, volto ad ottenere effetti atmosferici e lirici in contrasto con l’imperante gusto Novecento. Questo dipinto suscitò scandalo non solo per l'importanza che in esso assume il paesaggio, trattato con colori chiari e luminosi di derivazione post-impressionista stesi con una pennellata molto fluida, quanto per il disegno volutamente e totalmente privo di plasticità che trasforma la figura in puro elemento cromatico.
Il secondo dipinto fa riferimento alla stessa fotografia che raffigurava la benefattrice durante una vacanza sulla Riviera ligure. Questa volta però Lilloni raffigura il personaggio con un aspetto più giovanile e un viso dolce e ambienta la figura in riva al mare, con veduta del golfo e della spiaggia. Il ritratto, dominato dagli azzurri in varie tonalità, in realtà non mostra un ritorno del pittore alla sua "prima maniera" influenzata dallo stile Novecento; l’accentuata bidimensionalità e l’impronta naïve scontentano nuovamente gli eredi della benefattrice.
Questa terza versione di Sofia Gervasini rinuncia a qualsiasi ambientazione o indagine psicologica: la benefattrice viene ritratta con colori scuri stesi in larghe pennellate, ricalcando i modi ottocenteschi, vestita con un abito da sera e avvolta in un ampio mantello.